domenica 31 dicembre 2006

SPEGNERE L'INDIFFERENZA: L'egemonia del diritto degli USA e la mediatizzazione di vita e morte

Se c'è un seguito ancora peggiore all'impiccagione dopo un processo farsa di un uomo è la mediatizzazione della sua morte. Sono due i dati che emergono da quest'ultima puntata del reality iraqueno. Il primo è che il diritto internazionale, come nasce dalle ceneri della 2° guerra mondiale, è definitivamente superato. Emblematiche a questo proposito sono le parole di Giuliana Sgrena, che in un editoriale apparso oggi afferma <<Bush ha definito l'esecuzione di Saddam una pietra miliare (...) di quale democrazia? Quella dell'occupazione, di Abu Ghraib, dei massacri quotidiani, dell'illegalità, dei rapimenti, degli stupri (...) o quella del processo a Saddam Hussein (...) Perchè non si è voluto un tribunale internazionale?>>. Si possono aggiungere le leggi che legittimano la tortura, Guantanamo e i fatti legati a Nicola Calipari e Abu Omar. La vicenda di Saddam conferma definitivamente che le Nazioni Unite (UN) sono le Nazioni Unite d'America (UNA). Indicativo il fatto che anche in Italia, e non da posizioni estremistiche, si inizi a parlare, come fa Vittorio Zucconi sull'editoriale odierno su Repubblica, di un uscita da questa situazione di egemonia del diritto, che non può che partire da un processo a George W. Bush, con i capi d'accusa già formulati da tempo negli USA, come discusso su Harpers Magazine di Febbraio e Marzo e su The Nation di Gennaio.
Il secondo punto è il ruolo dei media, sempre più influenti nella formazione dell'opinione pubblica, come si è visto nella propaganda sulla guerra in Iraq. O per rimanere in Italia, basti pensare alla pubblicazione del video integrale dell'impiccagione sul sito di Repubblica o la macraba dovizia di particolari del TG1. Tutte informazioni ininfluenti a livello informativo, utili solo all'audience. C'è un fatto ancora peggiore, ancora più contro natura dell'umanità che uccide, viola i diritti di sè stessa: è l'umanità voyeur, abituè della morte dei suoi simili. Indifferenza e abitudine sono le vere armi di distrazione di massa. Un gesto semplice per rifiutare questa logica: la campagna spegnere i televisori.
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English abstract
The farce of the process to Saddam Hussein and its homicide are only the last one of the violations of the international right of the USA. The United Nations do not exist more, replaced from the United Nations of America. But Still worse it is the fact that television, newspapers... speaks about death with the criterion of audience. To be against indifference, let's turn off television.

sabato 30 dicembre 2006

GIOCHI DI CORDE E FILI

Il 2006 termina con due scene emblematiche di morte. In entrambe all'assenza di pietà, perdono, pace, si affianca la presenza di troppe opinioni, repliche, esaltazioni e critiche. Di un audience mediatica che non distingue tra vita, morte e natiche. Eppure ancora una volta la scelta dovrebbe cadere sul silenzio dello stupore. Il restare senza parole di chi ha ancora la capacità di meravigliarsi, di non abituarsi. Gli anni passano, ma a giocare col salto della corda altrui sono sempre altri. E' questo che mostrano i due fatti delle ultime ore. E per chi è rimasto senza parole non resta che usare le immagini, ancora una volta, quelle di un Welby portato via dal suo letto da un Cristo in croce e le scene di altre corde, altri fili, quelli che legano le vite di soldati, civili, dittatori. E ancora una volta, i burattinai si contano sulle dita di una mano. Tutti col volto coperto, come il cappuccio del boia. O i prigionieri di Abu Ghraib.
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venerdì 29 dicembre 2006

2006: IMMAGINI dal "migliore dei mondi possibili"

I fatti che hanno costellato il 2006 mostrano da sè la loro tragicità, senza bisogno delle mille parole di chi ha sempre un opinione su tutto, di chi pensa che il mondo si divida in bianco e nero. E' per questo che Communitaction sceglie di descrivere il 2006 che sta per finire con delle immagini da tre belle rassegne fotografiche: "2006: The year in pictures"del NY Times, "The best photos of the year 2006" del Time e "The state of the world"dell'agenzia Reuters.
Vogliamo riportare anche noi un immagine. E' una scena del Candide, versione teatrale dell' opera di Voltaire, che ironizza, nelle disavventure del protagonista, l'idea di Leibniz del nostro come il migliore dei mondi possibili. Nelle scene della piece si vedono i capi di stato ballare ubriachi e felici, sopra barili di petrolio. L'opera, la cui esibizione è già avvenuta in Francia, non verrà proiettata in Italia, si puntualizza "non per ragioni politiche". Ma non importa, la scena mostra come stanno le cose e dice che stanno così: il mondo nelle mani di 5 uomini.
Buon anno a tutti

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mercoledì 27 dicembre 2006

CADERE SOPRA UNA POZZA D'OLIO #2: Lo sfruttamento petrolifero dell'Africa

Il rapimento in Nigeria dei tecnici italiani dell'ENI il 6 Dicembre e i recenti disordini in Somalia e Darfur, hanno riportato l'attenzione sulla situazione dell' Africa, continente caratterizzato dal paradosso per cui alla vastità e alla ricchezza delle risorse minerarie e petrolifere si accompagna tuttavia una situazione di estrema povertà, riassunta nella denominazione di "terzo mondo". Le "guerre dimenticate" in Africa, ovvero escluse dalla copertura mediatica, hanno tra le loro cause proprio il tentativo di monopolio delle risorse naturali. E' il caso delle Corporation internazionali che "giustificano il loro comportamento come legittima difesa, ma in realtà l´ipotesi del banditismo viene spesso usata per mascherare la natura politica delle aggressioni" come afferma Javier Gonzalez, responsabile di Amnesty Italia per l´Africa Occidentale. Il riferimento non è solo ai depistaggi mediatici di compagnie petrolifere come Agip e Eni, ma anche al caso di Ken Saro Wiwa scrittore e leader di un movimento politico non violento che fu impiccato dieci anni fa con otto attivisti con l'accusa di banditismo, imputazione tuttavia << voluta dalle multinazionali del petrolio a cui non andava giù la loro campagna contro al devastazione sociale e ambientale del delta del Niger>> come ribadisce Gonzalez. La ripartizione delle risorse naturali rimane una delle cause maggiori delle guerre, come affermato da Wangari Maathai. Il monopolio delle risorse naturali altrui alimenta non solo conflitti civili come si assiste in Africa, ma si configura come la nuova forma di colonialismo, nascosta sotto i propositi di missioni umanitarie o della guerra al terrorismo. A questo proposito sono necessari il rispetto degli standard internazionali dei diritti umani come chiede Amnesty, chiedendo di aderire all'appello per la crisi in Darfur, per le donne della Sierra Leone e i bambini del Congo, oltre che una collaborazione tra multinazionali e governi locali, affinchè la redistribuzione delle risorse possa contribuire al raggiungimento dei Millennium Development Goals delle Nazioni Unite entro il 2015. Sul sito della BBC la rassegna "Africa's year in pictures: 2006".
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Fonti e Info:

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English Abstract

The tragic news from Somalia, Darfur and Nigeria brings back the attention on the exploitation of the natural resources, especially of the oil, that it is cause of wars.

lunedì 18 dicembre 2006

EMIGRAZIONE O EMARGINAZIONE? La Giornata internazionale dei Migranti tra diritti e repressione

Oggi, 18 dicembre, è la Giornata internazionale dei Migranti. 20 anni fa, il 18 Dicembre 1990, fu votata dalle Nazioni Unite la Convenzione internazionale per la protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, ma la Convenzione è entrata in vigore solo nel 2003, quando si è raggiunto un numero di stati sufficiente per la ratifica. E' da osservare che tra questi stati non ve n'è nessuno che appartenga alla UE, e l'unico che appartenga all'Europa è la Bosnia, la cui esperienza di migrazione seguita alla guerra civile ha spinto a comprendere il problema. Questo fatto non stupisce in considerazione alla luce di due dati: il rapporto annuale su razzismo e xenofobia del European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia (EUMC) che evidenzia come in Europa i casi di discriminazione e violenza razziale siano non solo numerosi, ma anche non documentati, per cui, come riportava un articolo dell'Unità sul tema "l'Europa è razzista e non lo sa"; inoltre, la difficoltà e lo "scarica barile" degli stati europei per firmare la Convenzione risiederebbe nella sua attenzione ai diritti dell'uomo in una prospettiva lata, che si riflette nella sua terminologia, in cui "nessun uomo viene definito clandestino e neppure irregolare. Qualcuno di noi potrebbe avere dei documenti che non sono considerati validi nello Stato in cui è ospitato" come afferma Manfred Bergmann, presidente del comitato antirazzista Durban Italia.
Rimane quindi un vuoto legislativo nella tutela dei diritti di persone che contribuiscono spesso in maniera determinante all'economia di uno stato, come ad esempio l'Italia, paese in cui, pur avendo conosciuto nel passato l'emigrazione, si registra il paradosso per cui senza immigrati sarebbe in recessione (secondo Luca Paolazzi su Il Sole 24 ore del 24 giugno 2001) ma il cui bisogno di lavoratori immigrati non trova risposta in una legge che ne regoli i flussi (articolo).
La recente protesta di Francesco Caruso e Haidi Giuliani, autoreclusosi nei CPT, i Centri di Permanenza Temporanea, per sollevare l'attenzione sul costante venir meno dei diritti in questi luoghi, non fa che confermare come accanto all'indispensabilità e alla necessità di tutelare il migrante come persona, sta la situazione per cui clandestino equivale a senza alcun diritto.
L'immigrazione oltre che una risorsa può certamente rivelarsi un problema, di sicurezza oltre che di integrazione. Ma i problemi vanno affrontati rintracciandone le cause ultime, non chiudendo una falla con muri contro l'immigrazione messicana al confine statunitense o con la repressione. All'apertura economica delle frontiere propria della globalizzazione, non può non accompagnarsi l'apertura delle frontiere da un punto di vista delle migrazioni, per disagio economico, per guerre, o mancanza di diritti: intervenire su queste cause è la soluzione dei disagi legati alle migrazioni.
Mettere muri per fermare le migrazioni o ghettizzare è come mettere una toppa sul tubo che perde: prima o poi la pressione dell'acqua la farà esplodere, come successo per le banlieues francesi poco tempo fa.
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Sui diritti dei migranti minori nei centri di detenzione, Amnesty International ha lanciato la campagna "Invisibili", per cui c'è un appello firmabile on-line per "chiedere alle istituzioni italiane di mettere fine alla detenzione generalizzata di bambini migranti e richiedenti asilo, di rispettare gli standard internazionali sui diritti umani, di approvare una legge organica sul diritto di asilo e di rendere trasparenti la gestione dei centri di detenzione e i dati statistici". Il 23-24 settembre si sono inoltre tenute le "Giornate dell'attivismo" Amnesty a sostegno della campagna.
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Info e fonti:
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English Abstract:
Today is the international migrant day: the migrations can be a resource but also a problem, to resolve in looking for their causes, that are poverty, wars... and not with repression and putting walls, like in the USA. The rights of the migrant go guaranteed like those of every person.

sabato 16 dicembre 2006

GLOBAL O NO GLOBAL? la globalizzazione economica tra sviluppo e povertà

Secondo il rapporto della Banca Mondiale la globalizzazione, nel suo aspetto economico di scambi internazionali di merci, è la vera soluzione dei problemi dei "terzi mondi". Gli esempi portati, si riferiscono a India e Cina. L'India, negli ultimi trent'anni, grazie al libero mercato, è passata dal 51% al 22% di numero di poveri; anche la Cina, da quando nel 2001 ha aderito al Wto, l'organizzazione mondiale del commercio, è diventata la quarta potenza economica mondiale, il terzo maggior esportatore del pianeta (sarà il primo nel 2010) e ha quasi raddoppiato il proprio prodotto interno lordo (da 1.300 miliardi di dollari ai 2.200 miliardi del 2005). E le previsioni sono altrettanto beneauguranti: nel 2006 la crescita economica dei paesi in via di sviluppo è quantificata per il 7%, nel 2007 e nel 2008 al 6%, più che doppia rispetto alla crescita economica dei Paesi ricchi, dove il Pil dovrebbe aumentare mediamente del 2,6%. L'aumento delle esportazioni è passato dal 14% di 20 anni fa al 40%, e per il 2030 è previsto al 65%. Nel 2030, il numero di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno si sarà dimezzato: da 1,1 miliardi scenderà a 550 milioni.
Tuttavia, l’Istituto mondiale per la ricerca sullo sviluppo economico dell’università dell'Onu ha portato dati diversi, quantificando lo squilibrio economico mondiale con un chiaro esempio: rappresentando tutta la popolazione mondiale attraverso un gruppo di dieci persone e riducendo a 100 dollari l’intera ricchezza mondiale, un solo individuo finirebbe per disporre di 99 dollari, mentre i restanti nove possiederebbero l’ultimo dollaro. Se Stati Uniti, Giappone ed Europa hanno infatti in mano l’84% di una ricchezza mondiale (gli USA il 34% della ricchezza, diviso per il suo 6% della popolazione mondiale), l'America Latina il 4%, la ricca Cina il 3% come l'Asia; fanalini di coda l'Africa con l' 1% e...sorpresa: l'altrettanto ricca India, con il suo 1%. In definitiva il 2% delle persone possiede più della metà di tutta la ricchezza e il 10% l’85% della ricchezza totale.
Il dato innovativo è che il parametro di valutazione non sono i redditi nazionali e individuali, le proprietà fisiche e finanziarie, cui vengono sottratti i debiti personali, che si può togliere con il credito: proprio la mancanza di un sistema assicurativo nei paesi in via di sviluppo, fatta eccezione per il microcredito, è una delle cause dell'impoverimento: secondo Sherman Katz, esperto di sviluppo economico, in un intervista per La Stampa, “l’incremento della ricchezza nell’era della globalizzazione favorisce coloro che già possiedono importanti capitali”. Questo spiega i dati ottimistici della Banca Mondiale, basati su paesi, come India e Cina, in cui i progressi sopracitati sono dovuti, come afferma De Belder di Oxfam, ai loro immensi mercati interni, mentre “i più piccoli fra i paesi in via di sviluppo devono guardare a strategie diverse”. Caso emblematico è l'Africa, in quanto paese in cui corruzione istituzionale e personale non qualificato comportano che non solo non possa fruire dei vantaggi del mercato globale riservati a India e Cina, ma anche ha portato a un maggiore impoverimento (vedi post). Per De Belder “non puoi avere la deregulation economica e al tempo stesso chiedere più regole per risolvere i problemi ambientali e sociali. Gli imprenditori locali in Africa non sono pronti a sostenere la concorrenza globale. Finché persisteranno le disuguaglianze, non potrà esserci un libero scambio benefico tra partner uguali”.
Queste testimonianze legano il problema dei progressi economici al tema dei diritti sociali e civili: una reale prospettiva di sviluppo non può che generarsi, al di là delle ricette economiche, siano esse liberiste o meno, senza una situazione di diritti e uguaglianza. In una parola, di pace.
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Fonti:

lunedì 11 dicembre 2006

COMMERCIO EQUO E...SNOB? Le critiche dell' Economist al commercio equo e solidale

Il commercio equo solidale e il conferimento del premio Nobel a Mohamad Yunus, l'inventore del microcredito, un altro modello economico di successo alternativo al sistema vigente, sono stati accomunati da un medesimo accusatore: l'Economist. La prestigiosa voce dell'economia neoliberista, dopo aver sollevato obiezioni all'annuncio del Nobel a Yunus, si schiera ora contro il commercio equo solidale: non è casuale che la critica venga posta in un periodo di maggiori consumi come quello natalizio, in cui si moltiplicano gli appelli a regali equo-solidali e nemmeno che la notizia sia stata diffusa in Italia da quotidiani fedeli alla linea dell'Economist, come Il Foglio e Il Giornale.
L'articolo pubblicato, constatando la crescita del "business" equo solidale, afferma che al contrario questo danneggerebbe uomo e ambiente, contrariamente al fine dichiarato di sostegno e sviluppo sostenibile.
Il commercio equo e solidale, ha infatti registrato una crescita nel 2005 del 37 %, raggiungendo 1,4 miliardi di dollari, tenendo anche conto del fatto che i prodotti sono venduti a un prezzo superiore a quello di mercato; cinque sono le obiezioni che solleva l’Economist:
  1. l’aumento dei prezzi di beni comuni, ad esempio il caffè, ne incoraggia la coltivazione, contribuendo così ad abbassare ulteriormente i prezzi ma escludendo gli agricoltori che non producono equo solidale;
  2. la certificazione equa e solidale verrebbe concessa sulla base di "pregiudizi politici", favorendo le cooperative ed escludendo le imprese famigliari;
  3. inoltre, l’esistenza di un prezzo minimo bloccherebbe la competizione commerciale;
  4. solo il 10 per cento della rendita equa e solidale, per l'Economist, andrebbe ai produttori, mentre il resto rimarrebbe a distributori e rivenditori;
  5. infine l'agricoltura biologica (spesso non biologica per l'Economist), danneggerebbe l'ambiente: alla riduzione delle distanze corrisponderebbe infatti un aumento dei viaggi e di conseguenza delle emissioni.

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Non è quindi, secondo l'Economist, il mutamento di sistema economico il modo per affrontare i problemi globali bensì “I veri cambiamenti richiedono decisioni dei governi" annoverando tra le possibili misure una carbon tax globale, la riforma del commercio internazionale, l’abolizione delle tariffe e dei sussidi all’agricoltura, con riferimento critico particolare alla politica agricola comune (Pac) europea. La posizione dell'Economist, giustamente ribadisce la responsabilità politica, come sottolineato più volte, sul mancato raggiungimento degli obiettivi cui tendono le iniziative globali per lo sviluppo dei paesi poveri; ma sottolineando l'inefficenza di un altra economia, come quella equo solidale, fa rientrare della finestra quella liberista: nonostante si calcoli che una maggiore libertà di scambio potrebbe far crescere del 5% il Pil africano e che quindi solo il modello liberista possa risollevare le sorti dei terzi mondi, queste stesse politiche, promosse dalla Banca Mondiale, in questi anni hanno mostrato il contrario (post).

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Carlo Maria Cipolla, nella sua discussione dell'argomento su Il Foglio del 9 Dicembre, scomoda anche la sociologia, individuando nello "snobismo politico e vezzo da ricchi" di chi acquista equo solidale la categoria antropologica di chi "causa un danno agli altri subendo egli stesso una perdita". E accanto a profili del consumatore equo e alla conseguente ironia e sufficenza, si avanzano le dietrologie, come quella di Eleonora Barbieri, che su Il Giornale del 9 Dicembre afferma che "quella dell'ambientalismo, in realtà, è solo una maschera: dietro, c'è il solito protezionismo vecchio stile". L'editoriale odierno di Repubblica di Edmondo Berselli, commentando il popolo dei fischi ricevuti al Motorshow dal Presidente del Consiglio Romano Prodi, parla di una parte di società "insensibile ai valori della solidarietà e dei diritti [...] congerie di individualismo insofferente delle regole, di consumismo immediato e irriflesso", non a caso fischi per una finanziaria e non a caso al Motorshow, luogo di "desideri indotti, ma reali", quelli di macchine costosissime, la cui ammirazione costa 25 euro del biglietto d'entrata.

Non è la prima volta che il commercio equo solidale viene messo sotto accusa: il 9 Settembre è stata la volta del Financial Times, cui è seguita la risposta di Fairtrade. Ma queste critiche, data la loro provenienza, e la scarsa fondatezza, hanno più il sapore di accuse ideologiche, a un fenomeno che proprio per la sua crescita e fecondità rappresenta un modello altro e di successo al sistema economico vigente.

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Fonti:

lunedì 4 dicembre 2006

L'ALTRA AMERICA: le nuove forme di "democrazia radicale" in America Latina

In queste ore si moltiplicano le notizie dall' America Latina: il venir meno, a causa delle loro gravi condizioni, di due simboli del passato, l'ex dittatore cileno Pinochet e il lider maximo di Cuba Castro, si affiancano a una nuova tendenza politica che sta sorgendo in questi anni. La rielezione odierna, a larga maggioranza, del venezuelano Hugo Chavez, consolida la tendenza politica socialista già vista con le vittorie di Rafael Correa in Ecuador, Luiz Inacio Lula da Silva in Brasile, Daniel Ortega in Nicaragua, e la presidentessa cilena Michelle Bachelet, oltre che nei governi di Cuba, Uruguay e Argentina. Tutte "nuove figure di democrazia radicale e modelli di gestione collettiva dei beni comuni", come afferma Antonio Negri in "GlobAL: Biopotere e lotte in America Latina".
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Correa, presidente dell'Ecuador, all'indomani della vittoria, ha affermato che verrà mantenuto il dollaro come moneta di stato ma che "oggi meno che mai firmerei un Trattato di libero commercio con gli Usa perché distruggerebbe la nostra agricoltura, la nostra economia". Le risorse per i previsti investimenti economici e sociali verranno da un diverso uso delle risorse energetiche - l'Ecuador è il 5° produttore di petrolio d'America latina - e da una possibile rinegoziazione del debito estero (pari a 10.000 milioni di dollari) con un possibile rientro dell'Ecuador nell'Opec. Correa inoltre ha affermato che non rinnoverà con gli Usa l’accordo sulla base militare di Manta e in generale postazioni militari straniere sulla propria terra.
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La cilena Bachelet si impegna per ridurre le differenze economiche tra ricchi e poveri e per far entrare le fasce deboli della popolazione nel processo di modernizzazione del Cile, infatti "si possono migliorare le condizioni di vita dei cileni senza per questo rallentare lo sviluppo del nostro sistema produttivo". La disuguaglianza tra uomo e donna si ridurrà, elevando la presenza femminile nel governo, con la creazione di maggiori posti di lavoro, specialmente per i giovani, e sulla riforma del welfare in senso solidaristico, con nuove misure a favore delle donne nel mondo del lavoro, l'aumento delle pensioni minime, cure ospedaliere gratuite per gli ultra sessantenni, 20 mila nuovi posti negli asili nido. E' prevista inoltre la creazione di un ministero dell'Ambiente e l'abolizione della leva obbligatoria.
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Per la prima volta nell’era moderna il Venezuela ha il 100% di alfabetizzazione. Grazie a Hugo Chavez (a sinistra nella foto con Evo Morales) il Venezuela è diventato il più grande produttore di petrolio che ne impiega le entrate per aiutare le classi più povere. Quando fu eletto per la prima volta, nel 1998, Chavez modificò la Costituzione per de-centralizzare il potere, eliminarne la corruzione e assegnarlo al popolo, da cui era escluso: “Gli indigeni – afferma la nuova costituzione – hanno il diritto di mantenere le proprie pratiche economiche, basate sulla reciprocità, sullo scambio e sulla solidarietà". E' stato inoltre avviato un programma per sconfiggere la povertà delle madri single. Secondo la costituzione, le donne hanno il diritto di essere pagate per il proprio lavoro e possono ottenere prestiti da una banca speciale. Da giugno, le casalinghe senza reddito possono ricevere uno stipendio di circa 120 dollari. Una legge del 2001 abolisce inoltre il latifondo redistribuendo le terre a quel 60% di popolazione che ne godeva solo dell'1%. Fresco di nomina, Chavez ha in programma cure mediche per tutti, case al posto delle baracche, ragazzi all'università con stipendio minimo, nuove città che vuotino le favelas.
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Dopo la nazionalizzazione di gas e petrolio, ai fini di mettere fine al "saccheggio delle risorse naturali, che dura da 500 anni" anche il bolivano Evo Morales ha avviato la ridistribuzione delle terre ai contadini, abolendo il latifondo. Saranno circa 2.5 milioni le persone che beneficeranno di questa nuova legge con 14 milioni di ettari di territorio da restituire alla popolazioni indigene.
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In un documento statunitense, la "Doctrine for asymmetric war against Venezuela" dell'Ottobre del 2005, il Venezuela di Chavez è visto come "la peggior minaccia da Unione Sovietica e comunismo", come testimoniano i passati tentativi di golpe appoggiati dagli Stati Uniti. Una minaccia non certo militare, ma perchè questi esempi costituiscono modelli alternativi, e di successo, a quello statunitense.
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Info:

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English Version (Abstract)

The socialist governments who rise in South America, for example that one of Correa in Ecuador, Bachelet in Chile, Morales in Bolivia and Chavez in Venezuela, propose a new political, alternative model to that one of the USA, with more rights and richness for the poor ones.

sabato 2 dicembre 2006

2/12: DAL MOLIN...ALLA GUERRA? la manifestazione vicentina contro la base militare USA

Oggi si terrà una manifestazione a Vicenza, sicuramente oscurata da quella di Roma e Palermo dell'opposizione di governo contro la Finanziaria, contro l'edificazione della più grande base Usa in Europa presso l'aeroporto "Dal Molin"(e la seconda in città oltre alla Ederle) con adesioni di gruppi politici, sindacali, cattolici, ma prima di tutto di cittadini, vicentini, italiani e statunitensi, oltre all'appoggio di Noam Chomsky e di Emergency. La protesta, oltre che per ragioni ideali di contrarietà alla militarizzazione del nostro paese, contraria all'impegno per la pace sancito dall'articolo 11 della costituzione, trova anche altre motivazioni.
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Come rilevato dagli studi effettuati dall'Ing. Vivian e dal Centro di studi di Bonn sulla Conversione in aree militari, la costruzione della base comporterebbe un impatto ambientale ed economico notevole sulla città, con consumi pari a "30.000 vicentini per l'acqua, 5.500 per il gas naturale, 26.000 per l'energia elettrica", tenendo conto della non sottoscrizione da parte degli USA del protocollo di Kyoto, che viene applicata alle basi, dove vige la legislazione statunitense. A questo si aggiungono le conseguenze economiche causate dalla diminuzione dell'insediamento vicino alla zona militare -per paura di attentati (l'attenzione per la vicenda della televisione Al-Arabiya ne è la conferma) e per l'inquinamento- con la conseguente svalutazione del 30% degli immobili, che significa meno entrate per il Comune, meno turismo, meno occupazione.
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Ma quel cui si assiste dietro il progetto è la corsa agli appalti: tra le 22 aziende finora in lista, aziende italiane e non, immobiliari e di altri ambiti, spicca quello di Telecom Italia. Le dichiarazioni beneauguranti sui fini unicamente "abitativi" dell'area, ricalcano quella "politica del sorriso" (di cui parla Andrea Licata dell'Università di Trieste), che nulla tuttavia esclude riguardo all'utilizzo della base, in funzione bellica, per il futuro, come confermano le dichiarazioni di un generale statunitense e le fonti statunitensi: il "Dal Molin" fa parte di un progetto europeo ai fini dell'invio di maggiori truppe in Iraq e Afghanistan.
La corsa agli appalti, e le ingenti somme stanziate dal Congresso americano per la costruzione dell'area, conferma come la guerra e tutto ciò che vi è legato, sia un fattore essenziale di possibilità e rilancio economico, la cui risposta non può che essere, come suggerisce Licata, quella di farsi sentire con azioni non violente di massa, come la manifestazione, il referendum previsto per ottobre e il boicottaggio economico e politico.
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Info:

venerdì 1 dicembre 2006

CADERE SOPRA UNA POZZA D'OLIO: la missione di peacekeeping a Nassirya e gli interessi dell' ENI

Si è conclusa oggi, con il gesto di rito dell'ammaiana bandiera, la missione di peacekeeping italiana in Iraq, località Nassirya. Nella giornata del 12 dicembre 2003, un attentato colpisce la base italiana, uccidendo, tra gli altri, 19 italiani, tra carabinieri, militari dell'esercito e due civili, un regista e un cooperante. Tre anni dopo, il 27 aprile 2006, è la volta di altri tre militari, dopo che il loro convoglio passa su una mina. Non passano 2 mesi che il 5 giugno 2006 per un altro attentato, nei pressi di Nassirya. La missione "Antica Babilonia" totalizza così tre anni di durata e 38 vittime, sullo sfondo della retorica bipartisan della politica, che è riuscita ad oscurare i fini nobili della manifestazione di pace per la Palestina del 18 novembre ma, sopratutto, non è riuscita a garantire il rispetto, fatto di silenzio, che si deve ai familiari delle vittime, che ora chiedono "verità sull'accaduto". Il metallo delle targhe ai loro caduti basta poco, tanto meno le piazze intitolate a loro nome in tutta Italia, come dimostrano le loro parole nel terzo anniversario del primo attentato, "cerco di trovare una giustificazione per quello che è successo ma non riesco a trovarla". Una giustificazione, per capire come si possa morire in una missione di pace.
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"Antica Babilonia": un nome non casuale, perchè l'obiettivo dichiarato della missione italiana era anche quello di salvaguardare le risorse archeologiche del paese, da parte di un paese, come l'Italia, talmente impegnato dall'iniziativa dal sacrificare i fondi dell' 8 per mille destinato al proprio patrimonio archeologico per destinarlo all'Iraq (vedi post). Ma si sa, la polvere da sparo puzza di zolfo...ma anche un pò di benzina. Non un pieno della punto, ma 5 miliardi di barili, dei 400 presenti sul territorio iraqueno . E' questa la quantità di petrolio che, in base a un accordo tra Saddam Hussein e l'Eni, risalente al 1997, interrottosi per la richiesta di Saddam Hussein della fine dell'embargo come contropartita, doveva essere sfruttata nella zona di Nassirya. La vastità dei giacimenti petroliferi iraqueni è emersa da uno studio commissionato dal ministero per le Attività produttive, che, sei mesi prima dell'inizio della guerra in Iraq, parlava di un "affare di 300 miliardi di dollari". E cosi' si scopre, grazie a un inchiesta di Rainews 24 del 13 maggio 2005, che l'Italia ha innovato il concetto di peacekeeping, includendovi la scorta di barili di petrolio e il sorvegliamento di centrali petrolifere, per conto dell'Eni, con la complicità del precedente governo, come esplicitamente dichiarato a Libero, il 21 gennaio 2005, da parte dell'allora Presidente della commissione Esteri Gustavo Selva: “Basta con l’ipocrisia dell’intervento umanitario (…) Abbiamo dovuto mascherare Antica Babilonia come operazione umanitaria perché altrimenti dal Colle non sarebbe mai arrivato il via libera”. L'attentato di Nassirya, come ha scritto il corrispondente del Sole24 Ore Claudio Gatti, non era diretto contro il nostro contingente militare, ma contro l'Eni, proprietaria della raffineria presso cui la prima base militare italiana era ubicata.
L'inchiesta ha dato forse la giusificazione ai familiari dei caduti, nero su bianco, con tanto di contratto. Contratto in forse, dato che l'occupazione dell'Iraq e la caduta di Saddam Hussein hanno fatto sì che le tre grandi concessioni all'Eni siano congelate.
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COSA POSSIAMO FARE:
  • guardate il reportage, è bello, impiega poco del vostro tempo e ci riguarda tutti, in quanto Italiani. Segnalo anche un altro reportage di rainews24, sulla guerra iraquena, intitolato "Falluja, la strage nascosta", sul bombardamento al fosforo a Falluja, di cui è in atto una sottoscrizione affinchè sia trasmesso in prima serata, da firmare on line.
Fonti:

giovedì 30 novembre 2006

GAME OVER: i "PAPPAGALLI VERDI", armi di mutilazione di massa

Oggi, alle ore 14, alla Camera dei Deputati, si è tenuta una conferenza stampa per la presentazione del disegno di legge per la modifica della legge 374/97 (messa al bando delle mine antipersona) al fine di estenderne la rilevanza anche alle cluster bombs, le bombe a grappolo. La proposta di legge, promossa dalla Campagna Italiana contro le Mine, ha raccolto le firme di deputati e senatori di maggiornaza e opposizione (Ulivo, Forza Italia, Rifondazione Comunista, Gruppo delle Autonomie, Verdi, Alleanza nazionale, Comunisti Italiani, Italia dei Valori).
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AZIONE ED EFFETTI DELLE BOMBE A GRAPPOLO
Le cluster bombs sono composte da un contenitore del peso di circa mezza tonnellata, che, sganciato da un aereo, si apre ad un'altezza prestabilita mediante una piccola carica e fa uscire, mentre cade, 200-250 piccole bombe contenute al suo interno, che scendono con un piccolo paracadute provvisto su ciascuna carica, per andare a fissarsi su veicoli militari in movimento, grazie a un sensore di cui sono dotate. Tuttavia, quando i sensori delle mine non trovano alcun bersaglio su cui posarsi, si disperdono sul terreno inesplose in una percentuale tra il 10 e il 30%, provocando non solo difficoltà di bonifica, data la vastità delle aree che ricoprono, ma anche la futura inagibilità dei terreni su ciui si posano (spesso coltivabili, gettando ancor più nella miseria interi villaggi).
Si pensi che l'area impegnata è un perimetro ovale di 1500-2000 metri per 500-700, e un bombardiere può trasportare fino a trenta contenitori e quindi colpire anche 7500 volte un territorio nello stesso momento. Ma il fatto più importante è dato dalla pericolosità per chi dovesse pestarle, date le piccole dimensioni, o addirittura toccarle con mano, come succede ai bambini che, attirati dalla forma a uccello delle cluster e dai colori sgargianti, le raccolgono per gioco o per rivenderne il metallo al mercato (non a caso in Afghanistan paese più colpito da questi ordigni, sono chiamati "pappagalli verdi", come raccontato nell'omonimo libro di Gino Strada), perchè provocano mutilazioni, o la morte istantanea.
Ma le cluster che disperdono piccole subminizioni, ovvero le CBU 89, sono solo un modello della collezione. Per avere un idea degli effetti letali sul corpo delle bombe a grappolo, si consideri che le CBU (cluster bomb unit) 26, utilizzate in Laos, contengono 670 munizioni della grandezza di una palla da tennis, ciascuna delle quali contiene 300 frammenti metallici. Se tutte le bombe esplodono, circa 200.000 frammenti d’acciaio sono sparsi su un’area della grandezza di qualcosa come 350 campi di calcio e la velocità d'urto dei frammenti produce onde pressorie all’interno del corpo che determinano danni ai tessuti molli e agli organi interni: un solo frammento che colpisce una persona può determinare rottura della milza o dell'intestino. E questi non sono effetti collaterali ma lo scopo per cui sono le CBU 26 sono progettate. La WDU-4, usata in Indocina, conteneva 6.000 freccette metalliche che venivano rilasciate poco sopra le teste delle vittime. Le CBU- 41 contengono submunizioni riempite con il napalm, e l’Honest John trasporta 368 bombette riempite con gas nervino sarin.
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IN EUROPA
La terribile eredità di questi ordigni, hanno spinto le Nazioni Unite a un appello per una moratoria immediata, con la revisione della Convention on conventional weapons, redatta da 100 stati. Nel frattempo il parlamento svizzero è impegnato nel sancirne il divieto, eliminando i 200mila esemplari di cluster bombs e in analoga direzione si stanno muovendo Belgio e Norvegia. La Campagna "Stop cluster munitions" chiede che questi ordigni siano equiparati alle mine antipersona e che siano messi al bando: secondo l'organizzazione non governativa "Handicap international", dal 1973 le cluster bombs avrebbero provocato più di 11mila vittime e 33 milioni sarebbero gli ordigni rimasti inesplosi sul terreno. Tuttavia sono 57, tra cui 11 in UE, i paesi che ancora le hanno, tra cui 32 (Tra cui Francia, Spagna e Inghilterra) che le producono: tra gli altri, l'Italia.
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DOVE SONO?
Moltissime sono le aree in cui sono diffuse, Laos, Vietnam, Cambogia, Sudan, Iraq, Kuwait, Yugoslavia, Kosovo, Etiopia, Cecenia ed Afghanistan (vedi la mappa interattiva). Ultimo arrivato il Libano: secondo fonti delle Nazioni Unite Israele ha lanciato oltre 4 milioni di bombe a grappolo nel sud del Libano in poco più di un mese di guerra e viceversa sono state lanciate in Israele, come afferma una denucia di Amnesty International.
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E IN ITALIA?
Secondo la Campagna italiana contro le mine "l’Italia non ha ancora ratificato il V protocollo della Convenzione sull’uso d’armi convenzionali (Ccw) che riguarda gli ordigni inesplosi e la bonifica dei siti contaminati.” Inoltre un'inchiesta di Rainews24 ha dimostrato che la Simmel Difesa , nonostante le dichiarazioni contrarie pubblicate sul sito, continua a esportare componenti di cluster. Grazie all'impegno di Campagna contro le mine e Rete Disarmo si è arrivati al Disegno di Legge per l’inclusione delle cluster bombs nel bando della produzione delle mine antipersona (legge 374/97).
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IL DIRITTO MINATO
Il protocollo del 2003 sui residui esplosivi delle guerre non basta più, secondo la Croce Rossa. L'uso Israeliano di bombe a grappolo, costituisce una violazione del diritto internazionale bellico, come affermato da Human Rights Watch. Le mine antiuomo sono state messe al bando da un trattato internazionale del 1997. Ma gli Stati Uniti e Israele sono tra i pochissimi Stati che hanno sempre rifiutato di sottoscriverlo. Le cluster sono infatti la versione moderna delle vecchie mine antipersona che, con il Trattato di Ottawa, del 1997 sono state messe al bando. Ma Nicoletta Dentico, della Campagna contro le mine, afferma che “Le leggi internazionali definiscono criteri chiari per ridurre al massimo i danni per le popolazioni inermi. Gli obiettivi permessi sono solo quelli militari, l’uso di armi indiscriminate è proibito. Dove sono finite le regole? Se il diritto è violato non vuol dire che è morto. [...] Dopo Ottawa, le cluster rilanciano il discorso sulle violazioni del diritto anche in condizioni di guerra. Spetta alla società civile di tutto il mondo far emergere la tragedia e imporre soluzioni”. Inoltre, secondo una testimonianza di un ex marines, le cluster bombs "Sono usate dappertutto. Se lei parlasse con un ufficiale dell’artiglieria dei marines, lui le darebbe la frase giusta, la risposta politicamente corretta. Ma per il soldato medio sono dappertutto. Se si entrava in una città, si sapeva che ci sarebbero state delle bombe a grappolo intermittenti. Le bombe a grappolo sono armi anti-uomo. Non sono precise. Non danneggiano gli edifici e i carri armati. Solo le persone e le cose viventi". Ma, a dispetto del fatto che le bombe a grappolo sono le armi più presenti negli arsenali degli Stati Uniti e della Nato, il 3 Dicembre 2001, al Parlamento Europeo, è passata una risoluzione che chiede l’immediata moratoria internazionale sul loro impiego.
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Info:
COSA POSSIAMO FARE

sabato 25 novembre 2006

BYE BYE BUY: 25/11, GIORNATA DEL NON ACQUISTO

Oggi è il "Buy Nothing Day" è una iniziativa che si svolge in contemporanea in trenta paesi del mondo, tra cui Francia, Giappone, Norvegia e Stati Uniti. Organizzata per la prima volta in Canada nel 1992, la Giornata del non acquisto ha lo scopo simbolico e pratico, come afferma il sito promotore Adbusters, di mettere in luce il potere delle multinazionali e le conseguenze negative delle loro politiche di "massimizzazione dei consumi" proprie della globalizzazione, che hanno danneggiato le popolazioni del "terzo mondo" da un punto di vista economico ed ambientale.
La proposta di una 24 ore senza acquisti non è una sterile polemica moralistica contro il consumismo, nè contro i commercianti, ma un modo per capire e quindi agire: capire come è dalle nostre piccole scelte e azioni quotidiane che dipende il sistema macroeconomico, politico; il sistema economico vigente ha come voce per diffondere il potere la pubblicità, i mass media: ma dalla diffusione di un messaggio all'azione serve l'adesione alla propaganda delle masse. E' proprio dal rifiuto delle masse delle scelte del sistema, che parte il cambiamento per un modello di sviluppo equo e sostenibile da tutti. Un cambiamento non violento, ovvero la semplice scelta ad esempio di non comprare, che colpisce il vero fulcro del potere della globalizzazione nei suoi aspetti negativi, perchè, secondo le parole del missionario comboniano Alex Zanotelli: «votate ogni volta che fate la spesa, ogni volta che schiacciate il telecomando, ogni volta che andate in banca, sono voti che date al sistema». Per colpire un sistema che favorisce enormi disuguaglianze economiche, di diritti e degrado ambientale, è più utile privare quel sistema del suo essenziale mezzo d'azione: la partecipazione, l'adesione delle masse. E' per questo che un "NO, GRAZIE" fa molto di più del distruggere semplicemente un simbolo, come la vetrina di un Mac Donald. Una piccola scelta quotidiana, come il non comprare per un giorno, o come proposto dal Gruppo dei Bilanci di Mestre, presso Venezia, la "Settimana del Non Acquisto" , esprime un dissenso non solo di parole ma pratico, al "mito" proprio del nostro sistema economico, per cui il benessere deriva dipende dal tenere alti i consumi.
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COSA POSSIAMO FARE:

  • Oltre al cercare, per la giornata odierna e in futuro, di ridurre per quanto possibile i consumi superflui, numerose iniziative sono attivate dai promotori della campagna, dall'ironico medicinale contro gli acquisti Decrescil, alle iniziative nelle varie città di Bilanci di giustizia, oltre al Buy Nothing Day Contest di Terre di mezzo, una concorso di "caccia alla pubblicità" di cui riporto qui sotto alcuni lavori, dalla parodia del catalogo Ikea-Iraq alla "Dove c'è Barilla c'è casa" con l'immagine di uno scatolone per senza tetto, per finire con le steli della "Mahlboro Country", sui rischi del fumo.
  • La fondazione Banco alimentare onlus compie oggi l'annuale edizione della Colletta alimentare, iniziativa mediante la quale chi lo desidera può consegnare fuori dai punti vendita un pò di spesa, devoluto a chi ne ha bisogno, al personale della Colletta. La concomitanza con il Buy nothing day, ha spinto "La mia spesa per la Pace", a partecipare alla Colletta alimentare nei giorni precedenti il 25 novembre oppure ad effettuare gli acquisti il 25 novembre stesso, ma limitandosi solo alla merce da donare.

Fonti:

English Version (Abstract):

Today is the "Buy Nothin Day", an initiative that it pushes not to buy nothing all day long in order to say not to the economic system that damages the poor countries. A gesture more powerful than to break off the display windows of Mac Donald, because it removes to the multinationals their means of action: the participation and adhesion of the mass.

venerdì 24 novembre 2006

PER LA PACE #5: GLI STATI UNITI...DELLA COOPERAZIONE

Il taglio del 10% ai fondi alla cooperazione (ovvero di 48 milioni di euro, che avrebbero ridotto i fondi per lotta alla povertà e sviluppo dei paesi poveri da 600 milioni di euro a 552, meno della Finanziaria 2006), minacciato dall'articolo 53 della finanziaria 2007, unito al recente scandalo dell'8 per mille destinato a finanziare la guerra in Iraq nella precedente legislatura (vedi post 11 novembre) e delle ingenti spese militari questa Finanziaria, avevano gettato un ombra sul destino degli aiuti ai paesi poveri da parte dell'Italia.
Ma le critiche sollevate a questi propositi dalle ONG, tra cui la Cocis, ha portato il governo a ridare il finanziamento promesso prima del minacciato taglio. E' stato sull'onda di questa vittoria che gli Stati Generali della Solidarietà e della Cooperazione Internazionale, che hanno raggruppato, dal 22 al 24 novembre, decine di ONG e associazioni del settore, si sono svolti nella soddisfazione generale, ma con riserva.
I punti trattati sono stati la necessità della riduzione delle spese militari, dell' investimento sui paesi in via di sviluppo con la cancellazione del debito e di una rinnovata attenzione a diritti umani e "politiche di genere".
Infatti, partendo dalla constatazione del “fallimento delle politiche di sviluppo e di aiuto pubblico” dimostrati dall' “impossibilità di raggiungere nei tempi previsti gli obiettivi del Millennio” (posti dalle Nazioni Unite, tra cui quello di dimezzare il numero dei denutriti entro il 2015, vedi post 12 novembre), gli Stati Generali hanno posto la necessità di un cambiamento in vista di una “nuova politica di solidarietà e di relazioni comunitarie internazionali" che affermi la centralità di "esseri umani e diritti”. L'auspicio, per il raggiungimento di questi obiettivi, è di arrivare in Italia allo 0,7 % del Pil devoluto alla cooperazione internazionale, ben quindi al di sopra della percentuale attualmente devoluta, pari allo 0,1%. Ma l'aumento dei fondi, se poi è direzionato "interventi a sostegno di operazioni militari o di penetrazione commerciale”, come nel caso del sopracitato 8 per mille, è inutile oltre che ingiusto. Tuttavia l'ostacolo non è solo di mancanza di fondi, ma - come emerge dalle parole delle ONG- sopratutto il “modello di consumo e di sviluppo”, di cui è necessaria una revisione, al fine di evitare l’esaurimento progressivo delle risorse che, oltre a essere dannoso in sè perchè toglie un possesso che dovrebbe essere gestito in comune, crea lo sfondo di conflitti (vedi post 15 novembre) .
E il cambiamento non può che partire da una diversa considerazione sociale, passando quindi alle “comunità locali” al posto della " società civile", a donne come “soggetti” e non solo "categoria di genere”, a una “sovranità alimentare” al posto di una "sicurezza alimentare" e al rovesciamento dei concetti di "donatore" e "beneficiario", perchè, come afferma Raffaella Chiodo, vicepresidente del Comune di Roma, "È evidente che chi ha sempre "donato" di più in termini di uomini, risorse e patrimonio ambientale non è l'Occidente ricco, ma l'Africa": quindi " cambiare i termini significa entrare nel merito e dunque mutare ottica. Il debito? Non solo azzerarlo, ma intervenire sulle politiche commerciali ed economiche che lo producono”.
Il farsi sentire delle ONG, che ha impedito i minacciati tagli alla cooperazione, è un dato da non sottovalutare, che mette in luce come le organizzazioni impegnate nella pace e nello sviluppo dei paesi poveri non siano "solo figure di contorno" ma esponenti di un " dibattito rappresentativo e vanno dunque presi in seria considerazione”, a cui non può che accompagnarsi quindi, a livello di leggi, un loro riconoscimento, con la conseguente maggiore attenzione alle politiche di sviluppo.
Il titolo emblematico del seminario previsto per oggi, "Disarmo e Povertà: commercio e produzione delle armi fattore determinate per alimentare conflitti e povertà" cui partecipano Rete Italiana disarmo, Rete Lilliput, Pax Christi, Archivio Disarmo, Amnesty International, Campagna Mine, ribadisce, ancora una volta, come ci sia una stretta correlazione tra disarmo, sviluppo economico, diritti e pace. Evitare la guerra non è eliminare preventivamente la minaccia, ma eliminare preventivamente le cause che ne fanno una minaccia, ovvero le disuguaglianze del tessuto sociale, ambientale ed economico in cui ognuno cresce.
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Fonti:
COSA POSSIAMO FARE:
  • A numerose ONG si può versare il 5 per mille nella dichiarazione dei redditi firmando nel riquadro "sostegno del volontariato, delle organizzazione non lucrative di utilità sociale, delle associazioni e fondazioni", con il codice fiscale che trovate nei siti delle ONG stesse;
  • gli Stati Generali della Cooperazione organizzano, per chi vive a Roma, il "Villaggio delle Comunità solidali", con stand, incontri, mostre e rassegne.

English Version (Abstract):

The Reunion of the NGO in Italy has expressed the necessity of the reduction of military expenses, investment in the poor countries and more attention to human rights. These objectives are caught up not only with more money to the international cooperation, but also changing to the social model of consumption and development, and eliminating the discriminations, why between peace and economic and social development there is one tightened tie.

martedì 21 novembre 2006

PER LA PACE #4: LA DISTRUZIONE DI MASSA DELLE ARMI

Ieri si è svolta nella capitale la giornata conclusiva del 7° Summit Mondiale dei premi Nobel per la Pace, promosso dalla Fondazione Internazionale Gorbachev, e dal Comune di Roma. Il Convegno, iniziato venerdì 17 novembre, si è concentrato sui temi della minaccia della ploriferazione mondiale delle armi atomiche (indicativo come l'attenzione dei Nobel si sia rivolta a Russia e Stati Uniti, detentori del 95% delle 27.000 testate atomiche mondiali), incentivando un uso pacifico e produttivo delle stesse, in vista dello sviluppo globale: è di oggi la notizia, data dal tg1, del finanziamento UE per la costruzione di un reattore nucleare capace di ricavare da un litro di acqua marina la stessa quantità di energia di un litro di petrolio.
E' stata sottolineata la necessità -nella Rome Declaration del Summit- di "eliminate that risk before it eliminate us". Le armi nucleari creano "more of a problem than any problem they seek to solve", dato che un eventuale attacco reciproco con armi nucleari sarebbe suicida per entrambi gli stati (si pensi al fatto che basterebbe una sola testata a distruggere il centro nevralgico di Israele). Il problema è una mancanza di volontà politica, a cui si contrappone l'appello di 1500 città mondiali, comprese alcune situate in paesi nuclearmente dotati, per un negoziato ai fini dell'eliminazione totale e legalmente verificabile a livello mondiale. La critica alle politiche di certi stati, seppur non citati esplicitamente, viene riferita evidenziando il dilemma per cui, secondo le parole dei partecipanti al Summit, devono terminare le insistenze all'abbandono di progetti nucleari di certi stati fatte da altri stati nuclearmente provvisti e che vogliono rimanerlo. La situazione, sottolinea il la dichiarazione, è più grave della guerra fredda, considerato non solo l'avanzamento tecnologico, ma anche i tentativi terroristici di impossessarsi del nucleare e, dall'altra parte, l'aspirazione a "weaponize the space", (con riferimento alla revisione della politica spaziale iniziata dagli Stati Uniti a inizio ottobre, mettendo così fine al trattato del 1967 tra gli stessi Stati Uniti, l'ex URSS e il Regno Unito sull'impossibilità di appropriarsi dello spazio esterno). Le conclusioni del Summit hanno portato alla "Carta per un mondo senza violenza", dove l'obiettivo da raggiungere viene posto nel "creare una cultura della pace e della non violenza", dove violenza significa non solo nel conflitto armato, ma anche in "povertà, sfruttamento economico, distruzione dell'ambiente e pregiudizi razziali" al fine di combattere l'accettazione della stessa come condizione normale anche da parte dell'opinione pubblica.
I dodici punti della Carta pongono innanzitutto la necessità del disarmo non solo a grandi livelli ma anche delle piccole armi, sullo sfondo di un potenziamento dell'ONU come garante internazionale; è ribadita inoltre la condanna sia del terrorismo, come pure della violazione dei diritti dell'uomo in sua risposta; la Carta sottolinea infine l'importanza della tutela ambientale e del risparmio energetico (che non necessariamnete va a scapito dell'economia, come ha affermato James Cameron, dimostrando i vantaggi economici derivanti dell'eliminazione dei gas serra, su Il Sole 24 Ore di ieri), evidenziando come "terreno fertile" di conflitti proprio l'espropriazione delle risorse naturali, idriche ed energetiche in primis (vedi post 15 novembre), cui è necessario reagire con il rafforzamento e la tutela di quella moltitudine costituita dalla società civile e dalle ONG che si impegnano per diritti e pace.
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"il principio morale di un mondo non violento è tratta gli altri come vorresti che gli altri trattassero te"
Carta per un mondo non violento del 7° Summit Mondiale di premi nobel per la Pace

Fonti:

COSA POSSIAMO FARE:

  • per quanto riguarda le armi, firmare la petizione online di controllarmi e abolitionnow
  • per la salvaguardia dell'ambiente e il risparmio energetico, partecipare il 2 e 3 dicembre all'operazione che il wwf organizza nelle piazze italiane per sensibilizzare ed informare, generazione clima.

domenica 19 novembre 2006

PER LA PACE #3: RESISTENZA E CUSCINI

Abstract:
In the evening yesterday hundreds of Palestinian have rung the house of a objective of an execution by Israel, that has prevented the attack. This gesture, new in Palestine, is an action of not violence, that can carry the peace. Moreover in Argentine today and in Tel Aviv in june has been carried out the pillow fight, a manifestation in order to vent violence in a pacific way.

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Oggi si sono verificati due fatti, apparentemente insignificanti, citati appena dalle agenzie di stampa, ma accomunati da un unico luogo, la Palestina, e un unico obiettivo, la pace.
L'"errore tecnico" secondo l'espressione del primo ministro israeliano Ehud Olmert, che è costata la vita, l' 8 novembre a Beit Hanoun, a nord della Striscia di Gaza, a 19 persone, per lo più donne e bambini, ha sollevato reazioni di sdegno pur nella quotidianità del conflitto israelo-palestinese, che hanno portato l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ad approvare, venerdì 17 a schiacciante maggioranza, una risoluzione per l' immediata interruzione degli attacchi reciproci, dopo l'impossibilità da parte del Consiglio di Sicurezza di varare una risoluzione analoga, lunedì 13, causata dal veto statunitense.
Oggi, il polverone sulle offese ai caduti a Nassiriya nella manifestazione romana per la Palestina di ieri, unito all'ennesimo raid israeliano nel pomeriggio, hanno offuscato un importante atto di discontinuità. Nella notte infatti, il proposito israeliano di colpire la casa di Weil Baroud, comandante della Popular Resistance Committees nella città di Beit Lahiya, è fallito. La novità non consiste più in questa -per quanto positiva- mancata esecuzione, ma nel motivo per cui il missile israeliano non è partito: al consueto avvertimento di abbandonare il luogo da colpire entro 30 minuti, centinaia di palestinesi hanno formato uno scudo umano intorno alla casa, impedendo di fatto il bombardamento, che avrebbe ripetuto la strage di civili di Beit Hanoun. Lo conferma la milizia israeliana, affermando che "The attack plan was cancelled because of the people there. We differentiate between innocent people and terrorists" Il corrispondente di Al Jazeera's a Gaza, ha sottolineato come questa sia la prima volta che un simile atto si veda nella striscia di Gaza da parte dei suoi abitanti.
Al di là delle accuse israeliane, di utilizzo dei civili come scudi umani, o delle dichiarazioni innneggianti al martirio della folla intonante slogans anti-Israeliani e anti-Americani, il segnale, non da sottovalutare, parla chiaro: un atto di resistenza passiva, come tale non violento, ha impedito l'ennesima violenza, con tutte le sue vittime innocenti collaterali.
Un atteggiamento, first of this kind, che sebbene ancora in un contesto d'odio, segna a mio parere un importante passo avanti, se verrà compreso nella sua innovatività, rispetto a esecuzioni mirate ed intifada. La violenza "non conduce alla libertà, ma ad una schiavitù dissimulata" (Mahatma Ghandi, Young India 3.4.1924).

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Parallelamente, oggi in Argentina si è svolto un altro evento, la guerra dei cuscini, una manifestazione giocosa e pacifica per sfogare in modo non violento le pulsioni aggressive, analogamente alla guerra rituale nelle società antiche.
Fa tutt'altra impressione venire a sapere che la stessa iniziativa si è svolta, nel Giugno di quest'anno, con la partecipazione di centinaia di persone, anche a Tel Aviv.
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"Pictures of unarmed Palestinians lying down before bulldozers about to raze their homes or marching up to the gates of Jewish settlements in the West Bank and Gaza - again unarmed and completely peacefully - would be powerful images that could do more to advance the Palestinian cause than 100 suicide bombings."
Eric Weiner
Fonti:

mercoledì 15 novembre 2006

PER LA PACE #2: WANGARI & IL "PIANTARE SPERANZE"

Dal 6 al 17 novembre il Kenia ospita il secondo meeting dei firmatari del Protocollo di Kyoto, cui si unisce la dodicesima sessione dei partecipanti alla Climate Change Convention. In occasione della sua partecipazione odierna, presso Nairobi, il segretario generale delle nazioni unite Kofi Annan ha dichiarato che "i cambi di clima stanno minacciando di frustrare gli sforzi di sradicamento di povertà, rendendo la prospettiva di raggiungere gli obiettivi del Development Millenium goals (vedi post 12 novembre) meno certi", ribadendo la necessità di pari attenzione ai cambiamenti climatici accanto al monopolio politico dedicato ad altri temi come conflitti e proliferazione del nucleare(Fonte: Press release della dichiarazioni di Kofi Annan) . A conclusione analoga è giunto uno studio di actionaid: le inondazioni conseguenti ai cambiamenti climatici, oltre a distruggere i raccolti, portano epidemie, determinando un altra causa di perdita economica con conseguente difficoltà ad uscire dallo stato di povertà.
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Il legame tra cambiamento climatico e sviluppo conferma l'idea per cui lo sconvolgimento dell'equilibrio di un ecosistema non nuoce solo alle interazioni reciproche tra elementi fisici (come avviene ad esempio nella catena alimentare) ma anche all'uomo, che da quel ecosistema trae fonte di sostentamento.
Caso emblematico ne è proprio il Kenia, la cui deforestazione avanzata ha portato, negli anni '70, a fenomeni quali l'erosione del suolo e la mancanza d'acqua, oltre che di legname, che determinarono conseguenze anche sul benessere delle popolazioni kenyote.

E' in questa situazione che all'inizio degli anni '70, una biologa keniota, Maathai Wangari, con l'aiuto di gruppi di donne del popolo, senza alcuna conoscenza in materia, inizia a ripiantare gli alberi. Il movimento si espande, fino a divenire ufficiale, assumendo come nome nel 1977 "Green Belt Movement", il movimento cintura verde. La sua opera ha ripiantatato finora tra i 30 e 40 milioni di alberi in tutta l'Africa, incontrando anche l'opposizione, talvolta violenta, del governo e delle forze speculanti sulla deforestazione.

Sarebbe tuttavia riduttivo confinare il l'azione di Maathai e del Green Belt Movement alla salvaguardia ambientale, come dimostra l'assegnazione del premio nobel alla biologa nel 2004. Che c'entrano gli alberi con la pace? Piantare alberi significa rifornire legname e acqua, essenziali per la popolazione e non solo: a fornire quest'opera per il sostentamento sono le donne, di cui perlopiù è composto il movimento; ciò significa emancipazione sociale ed economica.
Lo sviluppo ambientale diviene quindi anche sviluppo sociale ed economico, e anche qui sviluppo dal basso: ma sviluppo significa benessere e quindi pace. Le risorse naturali sono il movente di molti conflitti (si pensi come caso emblematico le risorse petrolifere iraquene): la minaccia della loro perdita, a causa di appropriazione altrui, degrado ambientale o esaurimento, comporta uno stato di tensione nelle popolazioni che da esse dipendono. La loro conservazione e la buona gestione delle risorse, l'accesso e scambio equo, sono i «colpi preventivi per salvaguardare la pace» nelle parole di Maathai Wangari: favorire la pace è favorirne le condizioni preventive: ma tra queste non ci può essere la guerra. "Si vis pacem, para bellum" , "se vuoi la pace, prepara la guerra" è giusto solo quando "il giusto è l'utile del più forte".
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The planting of trees is the planting of ideas. By starting with the simple act of planting a tree, we give hope to ourselves and to future generations.–Wangari Maathai
Fonti:

English version (abstract):

Kofi Annan, in his intervention in Nairobi on the climatic variations, has underlined the bond between climate and social development. It is example of it the "Green Belt Movement" of Maathai Wangari, a biologist that with other women has replanted in Kenya and in the whole Africa 40 million trees till now. Safeguard of the natural environment means in fact social and economic development and therefore peace: in fact many conflicts in the world are caused by the natural resources (think of iraqi oil). The maintenance, good management, exchanges and equitable access to the natural resources are the "preventive means", as Maathai says, for the peace.