giovedì 30 novembre 2006

GAME OVER: i "PAPPAGALLI VERDI", armi di mutilazione di massa

Oggi, alle ore 14, alla Camera dei Deputati, si è tenuta una conferenza stampa per la presentazione del disegno di legge per la modifica della legge 374/97 (messa al bando delle mine antipersona) al fine di estenderne la rilevanza anche alle cluster bombs, le bombe a grappolo. La proposta di legge, promossa dalla Campagna Italiana contro le Mine, ha raccolto le firme di deputati e senatori di maggiornaza e opposizione (Ulivo, Forza Italia, Rifondazione Comunista, Gruppo delle Autonomie, Verdi, Alleanza nazionale, Comunisti Italiani, Italia dei Valori).
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AZIONE ED EFFETTI DELLE BOMBE A GRAPPOLO
Le cluster bombs sono composte da un contenitore del peso di circa mezza tonnellata, che, sganciato da un aereo, si apre ad un'altezza prestabilita mediante una piccola carica e fa uscire, mentre cade, 200-250 piccole bombe contenute al suo interno, che scendono con un piccolo paracadute provvisto su ciascuna carica, per andare a fissarsi su veicoli militari in movimento, grazie a un sensore di cui sono dotate. Tuttavia, quando i sensori delle mine non trovano alcun bersaglio su cui posarsi, si disperdono sul terreno inesplose in una percentuale tra il 10 e il 30%, provocando non solo difficoltà di bonifica, data la vastità delle aree che ricoprono, ma anche la futura inagibilità dei terreni su ciui si posano (spesso coltivabili, gettando ancor più nella miseria interi villaggi).
Si pensi che l'area impegnata è un perimetro ovale di 1500-2000 metri per 500-700, e un bombardiere può trasportare fino a trenta contenitori e quindi colpire anche 7500 volte un territorio nello stesso momento. Ma il fatto più importante è dato dalla pericolosità per chi dovesse pestarle, date le piccole dimensioni, o addirittura toccarle con mano, come succede ai bambini che, attirati dalla forma a uccello delle cluster e dai colori sgargianti, le raccolgono per gioco o per rivenderne il metallo al mercato (non a caso in Afghanistan paese più colpito da questi ordigni, sono chiamati "pappagalli verdi", come raccontato nell'omonimo libro di Gino Strada), perchè provocano mutilazioni, o la morte istantanea.
Ma le cluster che disperdono piccole subminizioni, ovvero le CBU 89, sono solo un modello della collezione. Per avere un idea degli effetti letali sul corpo delle bombe a grappolo, si consideri che le CBU (cluster bomb unit) 26, utilizzate in Laos, contengono 670 munizioni della grandezza di una palla da tennis, ciascuna delle quali contiene 300 frammenti metallici. Se tutte le bombe esplodono, circa 200.000 frammenti d’acciaio sono sparsi su un’area della grandezza di qualcosa come 350 campi di calcio e la velocità d'urto dei frammenti produce onde pressorie all’interno del corpo che determinano danni ai tessuti molli e agli organi interni: un solo frammento che colpisce una persona può determinare rottura della milza o dell'intestino. E questi non sono effetti collaterali ma lo scopo per cui sono le CBU 26 sono progettate. La WDU-4, usata in Indocina, conteneva 6.000 freccette metalliche che venivano rilasciate poco sopra le teste delle vittime. Le CBU- 41 contengono submunizioni riempite con il napalm, e l’Honest John trasporta 368 bombette riempite con gas nervino sarin.
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IN EUROPA
La terribile eredità di questi ordigni, hanno spinto le Nazioni Unite a un appello per una moratoria immediata, con la revisione della Convention on conventional weapons, redatta da 100 stati. Nel frattempo il parlamento svizzero è impegnato nel sancirne il divieto, eliminando i 200mila esemplari di cluster bombs e in analoga direzione si stanno muovendo Belgio e Norvegia. La Campagna "Stop cluster munitions" chiede che questi ordigni siano equiparati alle mine antipersona e che siano messi al bando: secondo l'organizzazione non governativa "Handicap international", dal 1973 le cluster bombs avrebbero provocato più di 11mila vittime e 33 milioni sarebbero gli ordigni rimasti inesplosi sul terreno. Tuttavia sono 57, tra cui 11 in UE, i paesi che ancora le hanno, tra cui 32 (Tra cui Francia, Spagna e Inghilterra) che le producono: tra gli altri, l'Italia.
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DOVE SONO?
Moltissime sono le aree in cui sono diffuse, Laos, Vietnam, Cambogia, Sudan, Iraq, Kuwait, Yugoslavia, Kosovo, Etiopia, Cecenia ed Afghanistan (vedi la mappa interattiva). Ultimo arrivato il Libano: secondo fonti delle Nazioni Unite Israele ha lanciato oltre 4 milioni di bombe a grappolo nel sud del Libano in poco più di un mese di guerra e viceversa sono state lanciate in Israele, come afferma una denucia di Amnesty International.
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E IN ITALIA?
Secondo la Campagna italiana contro le mine "l’Italia non ha ancora ratificato il V protocollo della Convenzione sull’uso d’armi convenzionali (Ccw) che riguarda gli ordigni inesplosi e la bonifica dei siti contaminati.” Inoltre un'inchiesta di Rainews24 ha dimostrato che la Simmel Difesa , nonostante le dichiarazioni contrarie pubblicate sul sito, continua a esportare componenti di cluster. Grazie all'impegno di Campagna contro le mine e Rete Disarmo si è arrivati al Disegno di Legge per l’inclusione delle cluster bombs nel bando della produzione delle mine antipersona (legge 374/97).
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IL DIRITTO MINATO
Il protocollo del 2003 sui residui esplosivi delle guerre non basta più, secondo la Croce Rossa. L'uso Israeliano di bombe a grappolo, costituisce una violazione del diritto internazionale bellico, come affermato da Human Rights Watch. Le mine antiuomo sono state messe al bando da un trattato internazionale del 1997. Ma gli Stati Uniti e Israele sono tra i pochissimi Stati che hanno sempre rifiutato di sottoscriverlo. Le cluster sono infatti la versione moderna delle vecchie mine antipersona che, con il Trattato di Ottawa, del 1997 sono state messe al bando. Ma Nicoletta Dentico, della Campagna contro le mine, afferma che “Le leggi internazionali definiscono criteri chiari per ridurre al massimo i danni per le popolazioni inermi. Gli obiettivi permessi sono solo quelli militari, l’uso di armi indiscriminate è proibito. Dove sono finite le regole? Se il diritto è violato non vuol dire che è morto. [...] Dopo Ottawa, le cluster rilanciano il discorso sulle violazioni del diritto anche in condizioni di guerra. Spetta alla società civile di tutto il mondo far emergere la tragedia e imporre soluzioni”. Inoltre, secondo una testimonianza di un ex marines, le cluster bombs "Sono usate dappertutto. Se lei parlasse con un ufficiale dell’artiglieria dei marines, lui le darebbe la frase giusta, la risposta politicamente corretta. Ma per il soldato medio sono dappertutto. Se si entrava in una città, si sapeva che ci sarebbero state delle bombe a grappolo intermittenti. Le bombe a grappolo sono armi anti-uomo. Non sono precise. Non danneggiano gli edifici e i carri armati. Solo le persone e le cose viventi". Ma, a dispetto del fatto che le bombe a grappolo sono le armi più presenti negli arsenali degli Stati Uniti e della Nato, il 3 Dicembre 2001, al Parlamento Europeo, è passata una risoluzione che chiede l’immediata moratoria internazionale sul loro impiego.
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Info:
COSA POSSIAMO FARE

sabato 25 novembre 2006

BYE BYE BUY: 25/11, GIORNATA DEL NON ACQUISTO

Oggi è il "Buy Nothing Day" è una iniziativa che si svolge in contemporanea in trenta paesi del mondo, tra cui Francia, Giappone, Norvegia e Stati Uniti. Organizzata per la prima volta in Canada nel 1992, la Giornata del non acquisto ha lo scopo simbolico e pratico, come afferma il sito promotore Adbusters, di mettere in luce il potere delle multinazionali e le conseguenze negative delle loro politiche di "massimizzazione dei consumi" proprie della globalizzazione, che hanno danneggiato le popolazioni del "terzo mondo" da un punto di vista economico ed ambientale.
La proposta di una 24 ore senza acquisti non è una sterile polemica moralistica contro il consumismo, nè contro i commercianti, ma un modo per capire e quindi agire: capire come è dalle nostre piccole scelte e azioni quotidiane che dipende il sistema macroeconomico, politico; il sistema economico vigente ha come voce per diffondere il potere la pubblicità, i mass media: ma dalla diffusione di un messaggio all'azione serve l'adesione alla propaganda delle masse. E' proprio dal rifiuto delle masse delle scelte del sistema, che parte il cambiamento per un modello di sviluppo equo e sostenibile da tutti. Un cambiamento non violento, ovvero la semplice scelta ad esempio di non comprare, che colpisce il vero fulcro del potere della globalizzazione nei suoi aspetti negativi, perchè, secondo le parole del missionario comboniano Alex Zanotelli: «votate ogni volta che fate la spesa, ogni volta che schiacciate il telecomando, ogni volta che andate in banca, sono voti che date al sistema». Per colpire un sistema che favorisce enormi disuguaglianze economiche, di diritti e degrado ambientale, è più utile privare quel sistema del suo essenziale mezzo d'azione: la partecipazione, l'adesione delle masse. E' per questo che un "NO, GRAZIE" fa molto di più del distruggere semplicemente un simbolo, come la vetrina di un Mac Donald. Una piccola scelta quotidiana, come il non comprare per un giorno, o come proposto dal Gruppo dei Bilanci di Mestre, presso Venezia, la "Settimana del Non Acquisto" , esprime un dissenso non solo di parole ma pratico, al "mito" proprio del nostro sistema economico, per cui il benessere deriva dipende dal tenere alti i consumi.
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COSA POSSIAMO FARE:

  • Oltre al cercare, per la giornata odierna e in futuro, di ridurre per quanto possibile i consumi superflui, numerose iniziative sono attivate dai promotori della campagna, dall'ironico medicinale contro gli acquisti Decrescil, alle iniziative nelle varie città di Bilanci di giustizia, oltre al Buy Nothing Day Contest di Terre di mezzo, una concorso di "caccia alla pubblicità" di cui riporto qui sotto alcuni lavori, dalla parodia del catalogo Ikea-Iraq alla "Dove c'è Barilla c'è casa" con l'immagine di uno scatolone per senza tetto, per finire con le steli della "Mahlboro Country", sui rischi del fumo.
  • La fondazione Banco alimentare onlus compie oggi l'annuale edizione della Colletta alimentare, iniziativa mediante la quale chi lo desidera può consegnare fuori dai punti vendita un pò di spesa, devoluto a chi ne ha bisogno, al personale della Colletta. La concomitanza con il Buy nothing day, ha spinto "La mia spesa per la Pace", a partecipare alla Colletta alimentare nei giorni precedenti il 25 novembre oppure ad effettuare gli acquisti il 25 novembre stesso, ma limitandosi solo alla merce da donare.

Fonti:

English Version (Abstract):

Today is the "Buy Nothin Day", an initiative that it pushes not to buy nothing all day long in order to say not to the economic system that damages the poor countries. A gesture more powerful than to break off the display windows of Mac Donald, because it removes to the multinationals their means of action: the participation and adhesion of the mass.

venerdì 24 novembre 2006

PER LA PACE #5: GLI STATI UNITI...DELLA COOPERAZIONE

Il taglio del 10% ai fondi alla cooperazione (ovvero di 48 milioni di euro, che avrebbero ridotto i fondi per lotta alla povertà e sviluppo dei paesi poveri da 600 milioni di euro a 552, meno della Finanziaria 2006), minacciato dall'articolo 53 della finanziaria 2007, unito al recente scandalo dell'8 per mille destinato a finanziare la guerra in Iraq nella precedente legislatura (vedi post 11 novembre) e delle ingenti spese militari questa Finanziaria, avevano gettato un ombra sul destino degli aiuti ai paesi poveri da parte dell'Italia.
Ma le critiche sollevate a questi propositi dalle ONG, tra cui la Cocis, ha portato il governo a ridare il finanziamento promesso prima del minacciato taglio. E' stato sull'onda di questa vittoria che gli Stati Generali della Solidarietà e della Cooperazione Internazionale, che hanno raggruppato, dal 22 al 24 novembre, decine di ONG e associazioni del settore, si sono svolti nella soddisfazione generale, ma con riserva.
I punti trattati sono stati la necessità della riduzione delle spese militari, dell' investimento sui paesi in via di sviluppo con la cancellazione del debito e di una rinnovata attenzione a diritti umani e "politiche di genere".
Infatti, partendo dalla constatazione del “fallimento delle politiche di sviluppo e di aiuto pubblico” dimostrati dall' “impossibilità di raggiungere nei tempi previsti gli obiettivi del Millennio” (posti dalle Nazioni Unite, tra cui quello di dimezzare il numero dei denutriti entro il 2015, vedi post 12 novembre), gli Stati Generali hanno posto la necessità di un cambiamento in vista di una “nuova politica di solidarietà e di relazioni comunitarie internazionali" che affermi la centralità di "esseri umani e diritti”. L'auspicio, per il raggiungimento di questi obiettivi, è di arrivare in Italia allo 0,7 % del Pil devoluto alla cooperazione internazionale, ben quindi al di sopra della percentuale attualmente devoluta, pari allo 0,1%. Ma l'aumento dei fondi, se poi è direzionato "interventi a sostegno di operazioni militari o di penetrazione commerciale”, come nel caso del sopracitato 8 per mille, è inutile oltre che ingiusto. Tuttavia l'ostacolo non è solo di mancanza di fondi, ma - come emerge dalle parole delle ONG- sopratutto il “modello di consumo e di sviluppo”, di cui è necessaria una revisione, al fine di evitare l’esaurimento progressivo delle risorse che, oltre a essere dannoso in sè perchè toglie un possesso che dovrebbe essere gestito in comune, crea lo sfondo di conflitti (vedi post 15 novembre) .
E il cambiamento non può che partire da una diversa considerazione sociale, passando quindi alle “comunità locali” al posto della " società civile", a donne come “soggetti” e non solo "categoria di genere”, a una “sovranità alimentare” al posto di una "sicurezza alimentare" e al rovesciamento dei concetti di "donatore" e "beneficiario", perchè, come afferma Raffaella Chiodo, vicepresidente del Comune di Roma, "È evidente che chi ha sempre "donato" di più in termini di uomini, risorse e patrimonio ambientale non è l'Occidente ricco, ma l'Africa": quindi " cambiare i termini significa entrare nel merito e dunque mutare ottica. Il debito? Non solo azzerarlo, ma intervenire sulle politiche commerciali ed economiche che lo producono”.
Il farsi sentire delle ONG, che ha impedito i minacciati tagli alla cooperazione, è un dato da non sottovalutare, che mette in luce come le organizzazioni impegnate nella pace e nello sviluppo dei paesi poveri non siano "solo figure di contorno" ma esponenti di un " dibattito rappresentativo e vanno dunque presi in seria considerazione”, a cui non può che accompagnarsi quindi, a livello di leggi, un loro riconoscimento, con la conseguente maggiore attenzione alle politiche di sviluppo.
Il titolo emblematico del seminario previsto per oggi, "Disarmo e Povertà: commercio e produzione delle armi fattore determinate per alimentare conflitti e povertà" cui partecipano Rete Italiana disarmo, Rete Lilliput, Pax Christi, Archivio Disarmo, Amnesty International, Campagna Mine, ribadisce, ancora una volta, come ci sia una stretta correlazione tra disarmo, sviluppo economico, diritti e pace. Evitare la guerra non è eliminare preventivamente la minaccia, ma eliminare preventivamente le cause che ne fanno una minaccia, ovvero le disuguaglianze del tessuto sociale, ambientale ed economico in cui ognuno cresce.
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Fonti:
COSA POSSIAMO FARE:
  • A numerose ONG si può versare il 5 per mille nella dichiarazione dei redditi firmando nel riquadro "sostegno del volontariato, delle organizzazione non lucrative di utilità sociale, delle associazioni e fondazioni", con il codice fiscale che trovate nei siti delle ONG stesse;
  • gli Stati Generali della Cooperazione organizzano, per chi vive a Roma, il "Villaggio delle Comunità solidali", con stand, incontri, mostre e rassegne.

English Version (Abstract):

The Reunion of the NGO in Italy has expressed the necessity of the reduction of military expenses, investment in the poor countries and more attention to human rights. These objectives are caught up not only with more money to the international cooperation, but also changing to the social model of consumption and development, and eliminating the discriminations, why between peace and economic and social development there is one tightened tie.

martedì 21 novembre 2006

PER LA PACE #4: LA DISTRUZIONE DI MASSA DELLE ARMI

Ieri si è svolta nella capitale la giornata conclusiva del 7° Summit Mondiale dei premi Nobel per la Pace, promosso dalla Fondazione Internazionale Gorbachev, e dal Comune di Roma. Il Convegno, iniziato venerdì 17 novembre, si è concentrato sui temi della minaccia della ploriferazione mondiale delle armi atomiche (indicativo come l'attenzione dei Nobel si sia rivolta a Russia e Stati Uniti, detentori del 95% delle 27.000 testate atomiche mondiali), incentivando un uso pacifico e produttivo delle stesse, in vista dello sviluppo globale: è di oggi la notizia, data dal tg1, del finanziamento UE per la costruzione di un reattore nucleare capace di ricavare da un litro di acqua marina la stessa quantità di energia di un litro di petrolio.
E' stata sottolineata la necessità -nella Rome Declaration del Summit- di "eliminate that risk before it eliminate us". Le armi nucleari creano "more of a problem than any problem they seek to solve", dato che un eventuale attacco reciproco con armi nucleari sarebbe suicida per entrambi gli stati (si pensi al fatto che basterebbe una sola testata a distruggere il centro nevralgico di Israele). Il problema è una mancanza di volontà politica, a cui si contrappone l'appello di 1500 città mondiali, comprese alcune situate in paesi nuclearmente dotati, per un negoziato ai fini dell'eliminazione totale e legalmente verificabile a livello mondiale. La critica alle politiche di certi stati, seppur non citati esplicitamente, viene riferita evidenziando il dilemma per cui, secondo le parole dei partecipanti al Summit, devono terminare le insistenze all'abbandono di progetti nucleari di certi stati fatte da altri stati nuclearmente provvisti e che vogliono rimanerlo. La situazione, sottolinea il la dichiarazione, è più grave della guerra fredda, considerato non solo l'avanzamento tecnologico, ma anche i tentativi terroristici di impossessarsi del nucleare e, dall'altra parte, l'aspirazione a "weaponize the space", (con riferimento alla revisione della politica spaziale iniziata dagli Stati Uniti a inizio ottobre, mettendo così fine al trattato del 1967 tra gli stessi Stati Uniti, l'ex URSS e il Regno Unito sull'impossibilità di appropriarsi dello spazio esterno). Le conclusioni del Summit hanno portato alla "Carta per un mondo senza violenza", dove l'obiettivo da raggiungere viene posto nel "creare una cultura della pace e della non violenza", dove violenza significa non solo nel conflitto armato, ma anche in "povertà, sfruttamento economico, distruzione dell'ambiente e pregiudizi razziali" al fine di combattere l'accettazione della stessa come condizione normale anche da parte dell'opinione pubblica.
I dodici punti della Carta pongono innanzitutto la necessità del disarmo non solo a grandi livelli ma anche delle piccole armi, sullo sfondo di un potenziamento dell'ONU come garante internazionale; è ribadita inoltre la condanna sia del terrorismo, come pure della violazione dei diritti dell'uomo in sua risposta; la Carta sottolinea infine l'importanza della tutela ambientale e del risparmio energetico (che non necessariamnete va a scapito dell'economia, come ha affermato James Cameron, dimostrando i vantaggi economici derivanti dell'eliminazione dei gas serra, su Il Sole 24 Ore di ieri), evidenziando come "terreno fertile" di conflitti proprio l'espropriazione delle risorse naturali, idriche ed energetiche in primis (vedi post 15 novembre), cui è necessario reagire con il rafforzamento e la tutela di quella moltitudine costituita dalla società civile e dalle ONG che si impegnano per diritti e pace.
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"il principio morale di un mondo non violento è tratta gli altri come vorresti che gli altri trattassero te"
Carta per un mondo non violento del 7° Summit Mondiale di premi nobel per la Pace

Fonti:

COSA POSSIAMO FARE:

  • per quanto riguarda le armi, firmare la petizione online di controllarmi e abolitionnow
  • per la salvaguardia dell'ambiente e il risparmio energetico, partecipare il 2 e 3 dicembre all'operazione che il wwf organizza nelle piazze italiane per sensibilizzare ed informare, generazione clima.

domenica 19 novembre 2006

PER LA PACE #3: RESISTENZA E CUSCINI

Abstract:
In the evening yesterday hundreds of Palestinian have rung the house of a objective of an execution by Israel, that has prevented the attack. This gesture, new in Palestine, is an action of not violence, that can carry the peace. Moreover in Argentine today and in Tel Aviv in june has been carried out the pillow fight, a manifestation in order to vent violence in a pacific way.

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Oggi si sono verificati due fatti, apparentemente insignificanti, citati appena dalle agenzie di stampa, ma accomunati da un unico luogo, la Palestina, e un unico obiettivo, la pace.
L'"errore tecnico" secondo l'espressione del primo ministro israeliano Ehud Olmert, che è costata la vita, l' 8 novembre a Beit Hanoun, a nord della Striscia di Gaza, a 19 persone, per lo più donne e bambini, ha sollevato reazioni di sdegno pur nella quotidianità del conflitto israelo-palestinese, che hanno portato l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ad approvare, venerdì 17 a schiacciante maggioranza, una risoluzione per l' immediata interruzione degli attacchi reciproci, dopo l'impossibilità da parte del Consiglio di Sicurezza di varare una risoluzione analoga, lunedì 13, causata dal veto statunitense.
Oggi, il polverone sulle offese ai caduti a Nassiriya nella manifestazione romana per la Palestina di ieri, unito all'ennesimo raid israeliano nel pomeriggio, hanno offuscato un importante atto di discontinuità. Nella notte infatti, il proposito israeliano di colpire la casa di Weil Baroud, comandante della Popular Resistance Committees nella città di Beit Lahiya, è fallito. La novità non consiste più in questa -per quanto positiva- mancata esecuzione, ma nel motivo per cui il missile israeliano non è partito: al consueto avvertimento di abbandonare il luogo da colpire entro 30 minuti, centinaia di palestinesi hanno formato uno scudo umano intorno alla casa, impedendo di fatto il bombardamento, che avrebbe ripetuto la strage di civili di Beit Hanoun. Lo conferma la milizia israeliana, affermando che "The attack plan was cancelled because of the people there. We differentiate between innocent people and terrorists" Il corrispondente di Al Jazeera's a Gaza, ha sottolineato come questa sia la prima volta che un simile atto si veda nella striscia di Gaza da parte dei suoi abitanti.
Al di là delle accuse israeliane, di utilizzo dei civili come scudi umani, o delle dichiarazioni innneggianti al martirio della folla intonante slogans anti-Israeliani e anti-Americani, il segnale, non da sottovalutare, parla chiaro: un atto di resistenza passiva, come tale non violento, ha impedito l'ennesima violenza, con tutte le sue vittime innocenti collaterali.
Un atteggiamento, first of this kind, che sebbene ancora in un contesto d'odio, segna a mio parere un importante passo avanti, se verrà compreso nella sua innovatività, rispetto a esecuzioni mirate ed intifada. La violenza "non conduce alla libertà, ma ad una schiavitù dissimulata" (Mahatma Ghandi, Young India 3.4.1924).

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Parallelamente, oggi in Argentina si è svolto un altro evento, la guerra dei cuscini, una manifestazione giocosa e pacifica per sfogare in modo non violento le pulsioni aggressive, analogamente alla guerra rituale nelle società antiche.
Fa tutt'altra impressione venire a sapere che la stessa iniziativa si è svolta, nel Giugno di quest'anno, con la partecipazione di centinaia di persone, anche a Tel Aviv.
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"Pictures of unarmed Palestinians lying down before bulldozers about to raze their homes or marching up to the gates of Jewish settlements in the West Bank and Gaza - again unarmed and completely peacefully - would be powerful images that could do more to advance the Palestinian cause than 100 suicide bombings."
Eric Weiner
Fonti:

mercoledì 15 novembre 2006

PER LA PACE #2: WANGARI & IL "PIANTARE SPERANZE"

Dal 6 al 17 novembre il Kenia ospita il secondo meeting dei firmatari del Protocollo di Kyoto, cui si unisce la dodicesima sessione dei partecipanti alla Climate Change Convention. In occasione della sua partecipazione odierna, presso Nairobi, il segretario generale delle nazioni unite Kofi Annan ha dichiarato che "i cambi di clima stanno minacciando di frustrare gli sforzi di sradicamento di povertà, rendendo la prospettiva di raggiungere gli obiettivi del Development Millenium goals (vedi post 12 novembre) meno certi", ribadendo la necessità di pari attenzione ai cambiamenti climatici accanto al monopolio politico dedicato ad altri temi come conflitti e proliferazione del nucleare(Fonte: Press release della dichiarazioni di Kofi Annan) . A conclusione analoga è giunto uno studio di actionaid: le inondazioni conseguenti ai cambiamenti climatici, oltre a distruggere i raccolti, portano epidemie, determinando un altra causa di perdita economica con conseguente difficoltà ad uscire dallo stato di povertà.
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Il legame tra cambiamento climatico e sviluppo conferma l'idea per cui lo sconvolgimento dell'equilibrio di un ecosistema non nuoce solo alle interazioni reciproche tra elementi fisici (come avviene ad esempio nella catena alimentare) ma anche all'uomo, che da quel ecosistema trae fonte di sostentamento.
Caso emblematico ne è proprio il Kenia, la cui deforestazione avanzata ha portato, negli anni '70, a fenomeni quali l'erosione del suolo e la mancanza d'acqua, oltre che di legname, che determinarono conseguenze anche sul benessere delle popolazioni kenyote.

E' in questa situazione che all'inizio degli anni '70, una biologa keniota, Maathai Wangari, con l'aiuto di gruppi di donne del popolo, senza alcuna conoscenza in materia, inizia a ripiantare gli alberi. Il movimento si espande, fino a divenire ufficiale, assumendo come nome nel 1977 "Green Belt Movement", il movimento cintura verde. La sua opera ha ripiantatato finora tra i 30 e 40 milioni di alberi in tutta l'Africa, incontrando anche l'opposizione, talvolta violenta, del governo e delle forze speculanti sulla deforestazione.

Sarebbe tuttavia riduttivo confinare il l'azione di Maathai e del Green Belt Movement alla salvaguardia ambientale, come dimostra l'assegnazione del premio nobel alla biologa nel 2004. Che c'entrano gli alberi con la pace? Piantare alberi significa rifornire legname e acqua, essenziali per la popolazione e non solo: a fornire quest'opera per il sostentamento sono le donne, di cui perlopiù è composto il movimento; ciò significa emancipazione sociale ed economica.
Lo sviluppo ambientale diviene quindi anche sviluppo sociale ed economico, e anche qui sviluppo dal basso: ma sviluppo significa benessere e quindi pace. Le risorse naturali sono il movente di molti conflitti (si pensi come caso emblematico le risorse petrolifere iraquene): la minaccia della loro perdita, a causa di appropriazione altrui, degrado ambientale o esaurimento, comporta uno stato di tensione nelle popolazioni che da esse dipendono. La loro conservazione e la buona gestione delle risorse, l'accesso e scambio equo, sono i «colpi preventivi per salvaguardare la pace» nelle parole di Maathai Wangari: favorire la pace è favorirne le condizioni preventive: ma tra queste non ci può essere la guerra. "Si vis pacem, para bellum" , "se vuoi la pace, prepara la guerra" è giusto solo quando "il giusto è l'utile del più forte".
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The planting of trees is the planting of ideas. By starting with the simple act of planting a tree, we give hope to ourselves and to future generations.–Wangari Maathai
Fonti:

English version (abstract):

Kofi Annan, in his intervention in Nairobi on the climatic variations, has underlined the bond between climate and social development. It is example of it the "Green Belt Movement" of Maathai Wangari, a biologist that with other women has replanted in Kenya and in the whole Africa 40 million trees till now. Safeguard of the natural environment means in fact social and economic development and therefore peace: in fact many conflicts in the world are caused by the natural resources (think of iraqi oil). The maintenance, good management, exchanges and equitable access to the natural resources are the "preventive means", as Maathai says, for the peace.

lunedì 13 novembre 2006

PER LA PACE #1: YUNUS & IL MICROCREDITO

L'Angelus di Benedetto 16° di Sabato 11 novembre ha riportato l'attenzione sul problema della conseguenza del sistema economico mondiale sullo sviluppo dei paesi poveri e sullo stato dell'ambiente, auspicandone una "conversione", in vista della diminuzione della denutrizione mondiale della risoluzione delle emergenze ambientali ed energetiche. Parallelamente, in Canada, ieri è cominciato il summit mondiale sul microcredito, recentemente venuto alla ribalta per l'assegnazione, a metà ottobre, del premio nobel per la pace a Mohamad Yunus, (foto a margine) che con la sua Grameen Bank, fondata nel 1977 in Bangladesh, ne è stato l'inventore. Il sistema del microcredito è riuscito a combattere la povertà nel paese con un modello di sviluppo dal basso. Yunus, soprannominato il "banchiere dei poveri", inizia un sistema di prestito atipico, per il genere di destinatario, poveri senza alcuna garanzia di restituzione, per il genere, per lo più donne (fatto inconsueto e importante, se si pensa alla subordinazione della donna nel mondo mussulmano), il cui interesse per il bene della famiglia le motiva nell'impegno alla restituzione come testimoniano le statistiche (il tasso di restituzione del prestito sfiora il 97%). I prestiti, erogati in piccole somme con un interesse del 20% annuale, servono alle donne per mantenere la famiglia investendoli ad esempio nell'acquisto di una mucca per il latte, per pagare la scuola dei figli, o per l'acquisto di attrezzi a fini lavorativi con cui, tramite piccoli lavori di gruppo come il cucito o l'artigianato, le donne possono restituire il prestito. Uniche condizioni, essere nulla tenenti, uniti in gruppi di cinque donne (che garantiscono a vicenda), che restituiscono piccole somme ogni settimana a dei funzionari che si recano nei villaggi (Gram significa proprio villaggio) dal momento che "poiché i poveri non vanno in banca, deve essere la banca ad andare dai poveri". L'iniziativa, che serve a togliere la popolazione povera tra povertà, indebitamento con gli strozzini per uscirne e quindi ancora povertà, è testimoniato non solo dall'utile di 2 milioni di dollari della Banca nel 1996, ma anche dall'esportazione, altrettanto riuscita, dell'idea in altri paesi e persino sul web, con siti come Kiva, Prosper e Zopa. Il summit ribadisce l'utilità del microcredito che alla fine del 1994 ha raggiunto i 92 milioni di clienti, di cui 66 milioni poverissimi e l'83% donne, ponendosi come obiettivi per il 2015, lo stesso anno dell'impegno mondiale per la riduzione della denutrizione (vedi post precedente) di raggiungere 175 milioni di famiglie e migliorare le condizioni di vita di 100 milioni delle famiglie più povere aumentandone il dollaro al giorno utilizzato al momento per vivere.
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L'assegnazione del premio nobel a un economista rafforza l'idea che pace non significhi solo assenza di guerra, ma anche il creare condizioni per la pace, come lo sviluppo economico sociale ed ambientale -con un modello di sviluppo alternativo, dal basso- come sottolineano le motivazioni del Comitato per l'assegnazione del nobel a sostegno di una premiazione considerata fuori tema (ad esempio da The economist).
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Lo sviluppo dal basso non è tuttavia né l'unica, né la principale strategia di sviluppo dei paesi poveri, dove il modello liberista proprio della globalizzazione domina, refforzato dall'idea di chi, vedendo la riduzione della disparità del reddito di India e Cina, ne attribuisce la ricetta vincente al modello capitalitico, come Filippo Andreatta, professore di relazioni internazionali all'università di Bologna. In un intervista al Messaggero di oggi, Andreatta descrive il modello capitalista come "amorale nel suo funzionamento tecnico, ma la macchina migliore per sviluppare le economie, anche quelle povere", tramite norme per incentivare i trasferimenti ai paesi più poveri e protezione per l'ambiente (si veda la sottoscrizione del protocollo di Kyoto). Norme che è chiamata a garantire la politica.
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Nel frattempo a garantire che la politica...garantisca, c'è la campagna "Sbilanciamoci", per fare pressioni affinchè in Finanziaria 2006 non ci sia la minacciata riduzione di 48 milioni di euro alla cooperazione allo sviluppo, di contro allo stanziamento originario di 600 milioni. Andati a finanziare missioni di "pace" (vedi post 11 novembre).
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COSA POSSIAMO FARE?
  • Supportare il commercio equo e solidale, acquistando dalle botteghe presenti in ogni città, iniziando a partecipare il 25 e 26 novembre alle "colazioni eque e solidali" in 200 piazze italiane: per sapere dove nella vostra città e gli indirizzi delle botteghe di commercio equo e solidale, c'è il sito di altromercato.
Fonti:

English version (Abstract):

The conferment of the prize nobel 2006 for the peace to Mohamad Yusuf, inventor of the micro credit, or of loans to poor, it strengthens the idea that peace doesn't mean only absence of war, but also to create conditions for the peace and for the social and environmental economic development, with a model of development from the lower part. What can we do? To buy from the shops of "equitable commerce and solidale" and to participate in their initiatives. for information, there is the web site altromercato.

domenica 12 novembre 2006

CHE STATE A FAO?

"Finisci la minestra! I bambini dell'Africa muoiono di fame". Ci si sarà sentiti dire parole del genere almeno una volta da bambini, o le si sarà pure dette, a prova che il legame Africa - morte di fame è oramai divenuto proverbiale, un clichè: ovvero un accostamento di fatti ricorrente, comunemente accettato, seppure magari riduttivo. Comunemente accettato. E' questo il punto. Il fatto sconvolgente non è più la percezione dell'Africa, o di qualsiasi altro paese, come continente povero, ma il fatto che il morire di fame sia metabolizzato immediatamente, senza un attimo di stupore, come quando si sente un fatto di cronaca che riesce, per la sua crudezza, a risvegliarci dal torpore, dall'assuefazione delle tragedie quotidiane. Desidero fare alcune brevi considerazioni, non per moralismo, ma per far se non altro dubitare che il morire di fame sia un fatto scontato, tragico sì, ma una fatalità, come un incidente o una malattia. A parziale giustificazione si potrebbe portare l'esclusione del fenomeno dalla cronaca, per natura attenta a riportare la morte solo se, violenta o nota, o per grandi numeri; quella immediata e notevole, che recepisci, ti colpisce e passa un attimo dopo, con la notizia successiva. Come togliere un cerotto. Ma morire di fame è un processo sì di grandi proporzioni, ma di ignoti, di paesi impronunciabili e sconosciuti, e soprattutto...lento. Il corpo umano è predisposto da milioni di anni per una resistenza alla fame e alla sete (seppur in maniera minore) notevole, grazie anche all’essere onnivoro proprio dell’uomo. È uno dei motivi per cui l’uomo non si è estinto nelle prime fasi della sua evoluzione, nonostante non dotato di artigli, o zanne o di velocità, o di pelo. Eppure la preistoria è passata ce l'abbiamo fatta. Dominiamo sugli altri esseri per natura meglio portati di noi alla sopravvivenza. Eppure...c’è chi muore di fame nel mondo. E non da un giorno all’altro. I nostri corpi sono fatti perlopiù di acqua. Eppure c’è chi muore di sete. La terra ricoperta per lo più da acqua. L’oceano è una vasta regione che, esulando dai confini territoriali limitrofi alle terre abitate, è terra di nessuno, con tutto quello che vi sta dentro, pesci conchiglie velieri e…acqua. Un breve dato, sconvolgente alla luce di queste considerazioni: nel paese più potente del mondo, le prime tre cause di morte per malattia, cardiopatia, cancro ed ictus celebrale sono tutte condizionate, in elevata percentuale, all'alimentazione: troppa, scorretta, o entrambi. (Fonte: http://www.pcrm.org). Insomma di fame si muore. Chi per eccesso…molti di più per difetto. Totale.
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Ci sono molti organismi internazionali che si occupano del problema, prima di tutto la FAO, ma anche PAM, IFAD e sempre di più esercita un influenza su queste questioni la Banca Mondiale. La FAO, food and agricolture organization, è un settore delle nazioni unite con sede a roma; e proprio a roma, nella conferenza mondiale del 1996, 185 paesi avevano preso l’impegno di ridurre il numero degli affamati (è questo uno dei Millenium development goals), 823 milioni, della metà entro il 2015: si arriverebbe quindi a un 10% su scala mondiale rispetto al 20% del decennio '90. Nella prima metà del decennio '90, si è raggiunta la cifra di 26 milioni di denutriti in meno. Ma nei primi anni del 2000 la situazione si è rovesciata: ogni anno gli affamati sono 4 milioni in più, che in rapporto all’aumento della popolazione modiale fa pensare a un risultato non pessimo ma, come scriveva Guglielmo Raggozzino in un articolo dedicato al tema (vedi Fonti), “è molto difficile sfamarsi con una percentuale". Al trend positivo di India Cina e America Latina si oppone quello dell'Africa Sub-sahariana, che nel 2015 ospiterà il 30% delle persone affamate, rispetto al 20% del 1990: oggi sono 206 milioni, 40 milioni in piu di 15 anni fa. Bene Mozambico e Ghana, promosse per la crescita dalla Banca Mondiale, più critica la situazione di Congo, Eritrea e Burundi. Sono questi i dati emersi dal rapporto del presidente FAO, Jacques Diouff, che sottolinea come il problema sia "non di mezzi, ma di tecniche di produzione": per il rilancio dei continenti colpiti dalla sottoalimentazione sarebbero necessari, da parte degli stati ricchi, programmi e soldi e come condizione per gli investimenti una buona organizzazione governo politico (si consideri che molti di questi stati sono dilaniati da guerre civili), rilanciare la produttività della piccola proprietà agricola (si pensi che il 50% di persone denutrite che vivono nei paesi in via di sviluppo sono agricoltori) tutele del commercio mondiale e un aumento del livello dell’aiuto pubblico allo sviluppo, l' ODA, al 0, 7 sul pil (quello italiano è sullo 0,1, decurtato dalle spese belliche, vedi post precedente).
Ma le cifre più importanti sono queste: ogni 3,6 secondi una persona muore di fame, perlopiù bambini sotto i 5 anni.
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COSA POSSIAMO FARE?
Non costa niente, ma farsi sentire è il minimo che si possa fare, come:
  • firmare la cartolina per sollecitare il rispetto degli impegni per il 2015 da parte dei governi sul sito di chestateafao;
  • sensibilizzare più persone possibili al problema, sui vostri blog o di persona;
  • indirizzare il 5 per mille della dichiarazione dei redditi a enti non profit come actionaid, firmando nel riquadro "sostegno del volontariato, delle organizzazione non lucrative di utilità sociale, delle associazioni e fondazioni", inserendo il codice fiscale di action aid 09 68 67 20 153;
  • fare un offerta, deducibile in sede di dichiarazione dei redditi.

Non costa nulla in fondo anche una di queste iniziative, sia in termini di denaro che di tempo.

"e chi abbia salvato la vita di un solo uomo, sarà come avesse salvato tutta l'umanità"

(Al-Mai'da, 5:32)

Fonti:

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English version (abstract):

The relationship of the FAO 2006 report says that the promises of the governments to reduce of 50% within 2015 the number of the undernourished people of the poor countries has not been respected; you are enough to think that every 3,6 seconds a child starves. What can we do? To finance actionaid or to sign the postcard of chestateafao (the links are above in the section "Fonti").

sabato 11 novembre 2006

8 PER...100 & 100 PER TUTTI

L’annuncio è della direttrice del FAI, il fondo italiano per l’ambiente, Giulia Maria Crespi, ieri nell’auditorium di Confindustria, che riporta (o sarebbe meglio dire ribadisce, dato che la notizia era già apparsa sull' Unità agli inizi del mese di luglio) la notizia avuta da Enrico Letta, sottosegretario alla presidenza del consiglio: nella riunione del 31 agosto dell’esecutivo del consiglio dei ministri, dedicato al 8 per mille, emerse un buco di circa 100 milioni della quota di 110 milioni di euro del 8 per mille della finanziaria 2005: i rimanenti 4,7 milioni furono devoluti “simbolicamente” alla lotta contro la fame. 105,3 milioni di euro spariti…ma non nel nulla: secondo l’ammissione di Giuseppe Vegas, ex viceministro dell’economia del passato governo, intervenuto su affaritaliani in merito alla dichiarazioni della Crespi,L'otto per mille originariamente doveva essere devoluto tutto agli aiuti al terzo mondo, alla cultura e a cose di questo genere. Poi una parte venne utilizzata per le missioni all'estero. E una parte anche per l'Iraq. Alla missione andarono circa 80 milioni. 80 milioni, ovvero un terzo della quota totale stanziata. Soldi originariamente destinati, come indica non solo l’ammissione dello stesso Vegas, ma anche la natura dell’ente, la FAI, fonte della denuncia, oltre che le 1600 domande di enti cui erano destinati i fondi, al restauro dei beni culturali, l’assistenza ai rifugiati, le calamità naturali e la lotta alla fame cui è stata appunto destinato il resto, come la mancia al ristorante.
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Fonti:

Ma quello dell'8 per mille è solo un capitolo degli investimenti pubblici alle spese belliche; anche la Finanziaria 2006 stanzia ingenti somme:

  • l'articolo 57, comma 4, limita le assunzioni di personale a tempo indeterminato "nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al venti per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell'anno precedente" esentando tuttavia da questa norma le "assunzioni di personale appartenente alle categorie protette e a quelle connesse con la professionalizzazione delle Forze armate";
  • l'articolo 110, (Promozione della competitività nei settori industriali ad alta tecnologia) autorizza "contributi quindicennali di euro 40 milioni per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, da erogare alle imprese nazionali del settore aeronautico";
  • l'articolo 113, (Fondo per le esigenze di investimento per la difesa) a finanziamento degli interventi a sostegno dell'economia nel settore dell'industria nazionale ad elevato contenuto tecnologico istituisce " un apposito fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero della difesa, con una dotazione di 1.700 milioni di euro per l'anno 2007, di 1.550 milioni di euro per l'anno 2008 e di 1.200 milioni di euro per l'anno 2009, per la realizzazione di programmi di investimento pluriennale per esigenze di difesa nazionale, derivanti anche da accordi internazionali";
  • l'articolo 187, (Fondo per le esigenze di Mantenimento della difesa e programmi di edilizia per le esigenze delle Forze armate) istituisce un fondo, "con la dotazione di 400 milioni di euro per l'anno 2007 e 500 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 in conto spese per il funzionamento, con particolare riguardo alla tenuta in efficienza dello strumento militare, mediante interventi di sostituzione, ripristino e manutenzione ordinaria e straordinaria di mezzi, materiali, sistemi, infrastrutture, equipaggiamenti e scorte, assicurando l'adeguamento delle capacità operative e dei livelli di efficienza ed efficacia delle componenti militari, anche in funzione delle operazioni internazionali di pace. Il fondo è altresì alimentato con i pagamenti a qualunque titolo effettuati da stati o organizzazioni internazionali, ivi compresi i rimborsi corrisposti dall'Organizzazione delle nazioni unite, quale corrispettivo di prestazioni rese dalle Forze armate italiane nell'ambito delle citate missioni di pace, nonché da terzi per i concorsi prestati a titolo oneroso ai sensi dell'articolo 21 del regio decreto 2 febbraio 1928, n. 263. A tal fine non si applica l'articolo 1, comma 46, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. [...] Per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 è autorizzata la spesa di 20 milioni di euro da destinare al finanziamento di un programma straordinario di edilizia per la costruzione, acquisizione o manutenzione di alloggi per il personale volontario delle Forze armate";
  • l'articolo 188 infine, (Autorizzazione di spesa per la partecipazione italiana a missioni internazionali) autorizza, "per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, la spesa di euro 1 miliardo per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace", (lo stanziamento, deciso dal ministro degli esteri D'Alema, è automatico di 488 milioni a semestre). A tal fine è istituito "un apposito fondo nell'ambito dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze [...] Inoltre, "Lo stanziamento di cui all'articolo 9, comma 1 del decreto legge 31 maggio 2005, n.90, convertito con modificazioni dalla legge 26 luglio 2005, n. 152, è incrementato di euro 200.000 per l'anno 2007 e quantificato in euro 400.000 per ciascuno degli anni 2008 e 2009".

Ricapitolando, per gli anni 2006, 2007, 2008 la spesa bellica ammonta alla somma di 120 milioni al settore areonautico + 4450 milioni per "esigenze di difesa nazionale derivanti da accordi internazionali" + 1400 milioni per l' "efficienza dello strumento militare" + 60 milioni per edilizia militare + 3 miliardi di euro per la "partecipazione italiana a missioni internazionali di pace" + 1 milione di incremento.

Fare il totale con numeri così alti non ha molta utilità, più significativo invece risulta essere il fatto, sottolineato dal parlamentare Salvatore Cannavò, che con "soli" 100 milioni si potrebbero abolire i ticket della sanità. Non solo: le spese militari e delle attuali missioni in Libano, Afghanistan...raggiungono una somma pari a quella della Finanziaria 2006. Non c'è da stupirsi se l'Italia sia al 7° posto mondiale nelle spese militari con oltre 27 miliardi di dollari annui in valore corrente e 30 a parità di valore d'acquisto. E per trovare i soldi, come hanno documentato Cgil Cisl e Uil, la finanziaria 2006 prevede tagli alle spese sociali di 12,7 miliardi, che colpiscono soprattutto sanità ed enti locali, ovvero: servizi, posti di lavoro, oltre che aiuti ai paesi in via di sviluppo e alla cancellazione del debito.

Gli ultimi due dati, forse i più significativi: i 30 milioni annui stanziati per la cancellazione del debito dei paesi poveri si spendono in due settimane e mezzo per la missione militare in Libano. 780.000 milioni all'anno sono spesi in spese militari nel mondo: con 6.000 milioni si potrebbe ottenere l'accesso universale ai servizi sociali di base in tutti i paesi in via di sviluppo.

Fonti:

English version (Abstract):

Giulia Maria Crespi, director of FAI, has declared that 80 millions of euros on the 110 destined to the restauration of the cultural goods and to the poor countries have been used for the Italian mission in Iraq. Besides, in the 2006 text of the financial bill, there are big appropriations to the military expenses and the missions to the foreign countries, money removed from service for the citizens and places of employment.

For close examinations, you go to the sites above-mentioned web.

giovedì 9 novembre 2006

PERCHE' COMMUNITACTION

Ciao a tutti,
E' la non indifferenza, mia e vostra, che fa la differenza, il primo passo per renderci non solo spettatori, ma una volta tanto anche attori di ciò che ci sta intorno, consapevoli che non è qualcosa di estraneo, ma lo sfondo grazie a cui solo possiamo condurre le nostre vite.
La comunicazione è la base dell'aggregazione e l'aggregazione dell'azione: comunicazione, comunità e azione è communitaction.
Perchè sapere è potere, ma anche per sapere e potere.
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Hi to everybody,
It is ours not indifference that difference does, the first footstep to make not only us spectators, but once so much also actors of what are around us, aware that is not something extraneous, but the background only thanks to which we can conduct our lives. The communication is the base of the aggregation and the aggregation of the action: communication, community and action it is communitaction. Because to know is to be able, but also to know and power.