-
l’aumento dei prezzi di beni comuni, ad esempio il caffè, ne incoraggia la coltivazione, contribuendo così ad abbassare ulteriormente i prezzi ma escludendo gli agricoltori che non producono equo solidale;
-
la certificazione equa e solidale verrebbe concessa sulla base di "pregiudizi politici", favorendo le cooperative ed escludendo le imprese famigliari;
-
inoltre, l’esistenza di un prezzo minimo bloccherebbe la competizione commerciale;
-
solo il 10 per cento della rendita equa e solidale, per l'Economist, andrebbe ai produttori, mentre il resto rimarrebbe a distributori e rivenditori;
-
infine l'agricoltura biologica (spesso non biologica per l'Economist), danneggerebbe l'ambiente: alla riduzione delle distanze corrisponderebbe infatti un aumento dei viaggi e di conseguenza delle emissioni.
---
Non è quindi, secondo l'Economist, il mutamento di sistema economico il modo per affrontare i problemi globali bensì “I veri cambiamenti richiedono decisioni dei governi" annoverando tra le possibili misure una carbon tax globale, la riforma del commercio internazionale, l’abolizione delle tariffe e dei sussidi all’agricoltura, con riferimento critico particolare alla politica agricola comune (Pac) europea. La posizione dell'Economist, giustamente ribadisce la responsabilità politica, come sottolineato più volte, sul mancato raggiungimento degli obiettivi cui tendono le iniziative globali per lo sviluppo dei paesi poveri; ma sottolineando l'inefficenza di un altra economia, come quella equo solidale, fa rientrare della finestra quella liberista: nonostante si calcoli che una maggiore libertà di scambio potrebbe far crescere del 5% il Pil africano e che quindi solo il modello liberista possa risollevare le sorti dei terzi mondi, queste stesse politiche, promosse dalla Banca Mondiale, in questi anni hanno mostrato il contrario (post).
---
Carlo Maria Cipolla, nella sua discussione dell'argomento su Il Foglio del 9 Dicembre, scomoda anche la sociologia, individuando nello "snobismo politico e vezzo da ricchi" di chi acquista equo solidale la categoria antropologica di chi "causa un danno agli altri subendo egli stesso una perdita". E accanto a profili del consumatore equo e alla conseguente ironia e sufficenza, si avanzano le dietrologie, come quella di Eleonora Barbieri, che su Il Giornale del 9 Dicembre afferma che "quella dell'ambientalismo, in realtà, è solo una maschera: dietro, c'è il solito protezionismo vecchio stile". L'editoriale odierno di Repubblica di Edmondo Berselli, commentando il popolo dei fischi ricevuti al Motorshow dal Presidente del Consiglio Romano Prodi, parla di una parte di società "insensibile ai valori della solidarietà e dei diritti [...] congerie di individualismo insofferente delle regole, di consumismo immediato e irriflesso", non a caso fischi per una finanziaria e non a caso al Motorshow, luogo di "desideri indotti, ma reali", quelli di macchine costosissime, la cui ammirazione costa 25 euro del biglietto d'entrata.
Non è la prima volta che il commercio equo solidale viene messo sotto accusa: il 9 Settembre è stata la volta del Financial Times, cui è seguita la risposta di Fairtrade. Ma queste critiche, data la loro provenienza, e la scarsa fondatezza, hanno più il sapore di accuse ideologiche, a un fenomeno che proprio per la sua crescita e fecondità rappresenta un modello altro e di successo al sistema economico vigente.
---
Fonti:
- Economist, 8 Dicembre 2006
- Il Foglio, 9 Dicembre 2006
- Il Giornale, 9 Dicembre 2006
Nessun commento:
Posta un commento