Indiscrezioni di questi ultimi giorni della stampa angloamericana (tra cui New Yorker, Indipendent) riferiscono che sono allo stato avanzato i preparativi per un attacco militare all’Iran. Un possibile intervento aereo sugli stabilimenti nucleari iraniani non sarebbe che uno sviluppo di quella “guerra fredda” che gli USA e Israele stanno conducendo ormai da tempo con l’Iran.Dalle provocazioni verbali iraniane sul nucleare e sull’esistenza di Israele, cui gli USA hanno risposto con sottili minacce e con la propaganda sulle intenzioni di un attacco nucleare iraniano, si è passati all’autorizzazione statunitense di uccidere agenti iraniani in Iraq. Tuttavia, al di là di questi screzi e di una potenzialità nucleare sottovalutata dagli stessi Israeliani, il reale movente di un possibile attacco all’Iran va cercato anche in motivazioni economiche.W. J. Clark, nel saggio del 2003 “Revisited: the real reason for the upcoming war with Iraq“, cita come ragione macroeconomica dell’attacco all’Iraq la volontà di riportare il dollaro come moneta di scambio, sperando di contrastare l’intenzione, espressa nel 2000 da paesi dell’OPEC come Iran, Iraq e Venezuela (che subì un colpo di stato nello stesso anno), di scambiare petrolio con l’euro; l’euro, infatti, oltre ad essere svalutato in maniera minore del dollaro, è la moneta della maggior parte dei paesi che scambiano petrolio con l’Iran. In questa direzione si inserisce inoltre l’intenzione del governo iraniano di aprire una borsa petrolifera alternativa alle due statunitensi. E’ chiaro che la riconversione petrolifera in euro intensificherebbe la crisi economica statunitense.Un secondo ordine di considerazioni sulle ragioni economiche alla base della scelta di attaccare l’Iran si fonda proprio sull’”economia di guerra” statunitense. Infatti, l’escalation terroristica in tutto il mondo che seguirebbe all’attacco iraniano non farebbe altro che gettare benzina sul fuoco della propaganda dell’amministrazione Bush, legittimando ulteriori mire militari e favorendo sempre di più il passaggio, come lo definisce il Los Angeles Times, dalla new economy a una war economy come quella statunitense.Paradossalmente gli introiti dell’industria bellica, oltre ad essere il movente degli USA, possono costituire un ostacolo all’attacco, dato da Russia e Cina. L’opposizione delle due nazioni alle sanzioni nei confronti dell’Iran si fonda infatti sui cospicui scambi energetici e militari che Russia e Cina intrattengono con l’Iran.Se dietro ai piani di guerra all’Iran, al di là molte altre ragioni geopolitiche, sta lo spettro di motivazioni economiche, è chiaro che il problema vada affrontato alla radice, non solo tagliando il legame tra rilancio dell’economia, occupazione e sviluppo bellico (si pensi alla propaganda dei “centinaia” di nuovi posti di lavoro che fornirebbe la base Dal Molin di Vicenza), ma anche con un opera continua di smilitarizzazione e riconversione a scopi civili di aree e fondi stanziati a spese belliche (come nella Finanziaria 2006).
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