C'è un solo elemento che accomuna le parti in conflitto nella (o nelle) guerra civile iraquena: l'odio per l'esercito occupante. E alla luce di fatti come questi non c'è poi da stupirsi. Il sergente Paul Cortez, 24 anni, è stato condannato a 100 anni di reclusione per lo stupro di una ragazza di 14 anni e la strage della sua famiglia, padre, madre, e sorella di 7 anni. La confessione del sergente gli ha fatto evitare la condanna a morte, ottenendo inoltre, grazie al patteggiamento, la possibilità di libertà condizionata tra 10 anni. Le accuse di strage, stupro, violazione della propietà privata, cospirazione criminale, incendio doloso... gli sono state attribuite sulla base dei fatti del marzo 2006, quando Cortez e altri 4 soldati decisero di assalire la famiglia della ragazza, scelta per la presenza di un solo uomo. Dopo la violenza di gruppo, il corpo della ragazza viene bruciato per nasconderne la violenza e i familiari uccisi. Le altre condanne già stabilite ammontano a 90 anni per un altro compagno di Cortez e la radiazione dall'esercito per tutti i partecipanti alla strage.
Dei molti casi di violenza gratuita nei confronti della popolazione iraquena e afghana, in questi anni sono saliti alle cronache solo i più cruenti, per dovere di cronaca o forse più per vojeurismo di cronaca. Basti pensare alla profanazione di cadaveri e ostentazione di simboli del Terzo Reich da parte dei soldati tedeschi in Iraq, o la cremazione (vietata dall'Islam e dalle convenzioni di Ginevra) di talebani da parte dell'esercito USA, fino ai casi più noti di Abu Ghraib e Guantanamo. Tutta una costellazione di violazioni dei diritti umani che sono esiti "naturali" di quella zona franca del diritto, e dell'umanità, che è la guerra. Dall'innanuralità di un'umanità che uccide sè stessa non possono che seguire casi come questo, in cui la distinzione tra vittime e carnefici sfuma, fino a diventare nulla.
Soldati pescati in situazioni di disagio sociale ed economico, in cui la guerra rappresenta l'unica speranza concreta di occupazione, di rivalsa sociale, come mostra emblematicamente M. Moore in Fahrenheit 9/11: i figli dei senatori USA non vengono certo mandati al fronte. Soldati carnefici e a loro volta vittime, come mostrano l'impennata del tasso di suicidi dei marines in Iraq, di problemi mentali, e i casi crescenti di diserzione.
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