Si avvicina la partenza per l'Iraq del principe Harry, terzo in successione regale al trono d'Inghilterra. Tra le notizie di rinvii per le minacce di Al Quaeda, intenzionata a catturarlo ed esibirlo come "trofeo di guerra", l'appoggio dei commilitoni che hanno dichiarato di voler indossare "parrucche rosse" per sfavorirne l'identificazione e il rapimento, le festine pre-partenza, i tabloid inglesi hanno collezionato un nuovo, redditizio capitolo della soap sulla famiglia reale. Inoltre, il principino verrà ripreso nella sua avventura iraquena dallle telecamere, in una sorta di Grande Fratello iraqueno, dove ad essere nominati però sono solo i civili sotto le bombe.
Peccato che la vicenda del principino che va alla guerra sia tutt'altro che una telenovela, ma si inserisca con estrema superficialità in un contesto come quello iraqueno, fatto di migliaia di vittime civili, oltre che militari. La mediatizzazione della partenza del principe tralascia così di considerare la quotidianità iraquena, fatta di decine di morti e distruzione, che in quanto quotidianità è ben lontana dal costituire uno scoop, una news da vendere. Inoltre, gli scrupoli per la sicurezza del principe, e la sua presenza in Iraq non possono che accrescere l'insicurezza e i pericoli per un'esercito carnefice e vittima di un conflitto senza uscita.
La Casa Reale sceglie così di mettersi in controtendenza all'opinione pubblica, la cui sempre maggiore opposizione al conflitto iraqueno ha portato alle dimissioni venture di Tony Blair.
Ma l'aspetto peggiore della vicenda del principino che va dalla reggia alla guerra per "servire il proprio paese" con tutto il contorno di capricci regali ("o parto o lascio l'esercito", ha dichiarato Harry), è che l'attenzione mediatica per l'Iraq ha ormai raggiunto i toni frivoli che caratterizzano le vicende regali. Il tassello finale di un conflitto che fin dall'inizio, dall'abbattimento delle statue di Saddam Hussein nella presa lampo di Baghdad è stato un grande spot televisivo, finalizzato a vendere una guerra fondata su interessi economici e geostrategici. E come tutti gli spot, anche questo è riuscito a vendere fumo: ma quello di un paese che va a fuoco ogni giorno.
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