Ieri alla Camera è passato, con una maggioranza del 95.9%, il decreto che rifinanzia le missioni militari all’estero: il 4% mancante per l’unanimità è composto di 19 astenuti e 3 voti contrari. In totale più del 99% dei Deputati non ha votato contro. Il punto che qui si vuole sottolineare non riguarda le mille ragioni politiche che spingano un esecutivo a votare contro le proprie idee, contro la propria costituzione: il voto pressoché unanime sul rifinanziamento alle missioni militari è prima di tutto un voto contro gli elettori, di cui i Deputati sono per per definizione rappresentanti. Non serve “il balletto delle cifre” dei sondaggi per capire che tra l’umore della popolazione e gli esecutivi di governo, siano essi destri, mancini o ambidestri, si sta scavando sempre più un solco, un’incomunicabilità di fondo che non potrà non avere delle conseguenze, ben più profonde di un allontamento dalla politica, di un generale disinteresse o di un crescente assenteismo dal voto.Il rifinanziamento delle missioni è solo un caso in cui il parlamento parla per sè, e non per i tanto citati “problemi veri del paese”. Si può considerare un calcolo in tasca quello che spinge la maggioranza degli italiani a vedere di mal occhio soldi che potrebbero essere occupati in maniera ugualmente solidale (con una parte dei finanziamenti alle missioni militari potrebbe essere abolito il ticket sanitario…), o un sentimento da “anime belle” pacifiste, considerato slegato dalla realtà dai politicanti di mestiere, fatto sta che ormai il “popolo sovrano” e i suoi rappresentati parlano due lingue diverse. Ecco allora un’Italia che a grande maggioranza si mobilita per pace, diritti civili, benessere, venire ridotta alla logica della contrapposizione partitica, dove “pace” è parola sinistra, “sicurezza” termine ambidestro, “benessere” richiesta da evasore fiscale. C’è chi vive sulla propria terra, ne conosce i bisogni, le ragioni, e c’è chi vive nella propria poltrona, ormai vuota: perchè fenomeni come l’Afghanistan, il Dal Molin, la Tav, il Mose, i Dico, gli stipendi folli di Sanremo, nella loro lontananza dal volere e dai bisogni degli italiani, mostrano come la politica italiana sia segnata da un crescente vuoto di rappresentanza, di cui conseguenza emblematica non può che essere una legge elettorale che elegge i Deputati sulla base di logiche di partito. Ma non sarà il cambio di legge elettorale a far scendere dalla poltrona i rappresentanti di un Paese che esiste solo negli uffici di Montecitorio.
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