sabato 16 dicembre 2006

GLOBAL O NO GLOBAL? la globalizzazione economica tra sviluppo e povertà

Secondo il rapporto della Banca Mondiale la globalizzazione, nel suo aspetto economico di scambi internazionali di merci, è la vera soluzione dei problemi dei "terzi mondi". Gli esempi portati, si riferiscono a India e Cina. L'India, negli ultimi trent'anni, grazie al libero mercato, è passata dal 51% al 22% di numero di poveri; anche la Cina, da quando nel 2001 ha aderito al Wto, l'organizzazione mondiale del commercio, è diventata la quarta potenza economica mondiale, il terzo maggior esportatore del pianeta (sarà il primo nel 2010) e ha quasi raddoppiato il proprio prodotto interno lordo (da 1.300 miliardi di dollari ai 2.200 miliardi del 2005). E le previsioni sono altrettanto beneauguranti: nel 2006 la crescita economica dei paesi in via di sviluppo è quantificata per il 7%, nel 2007 e nel 2008 al 6%, più che doppia rispetto alla crescita economica dei Paesi ricchi, dove il Pil dovrebbe aumentare mediamente del 2,6%. L'aumento delle esportazioni è passato dal 14% di 20 anni fa al 40%, e per il 2030 è previsto al 65%. Nel 2030, il numero di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno si sarà dimezzato: da 1,1 miliardi scenderà a 550 milioni.
Tuttavia, l’Istituto mondiale per la ricerca sullo sviluppo economico dell’università dell'Onu ha portato dati diversi, quantificando lo squilibrio economico mondiale con un chiaro esempio: rappresentando tutta la popolazione mondiale attraverso un gruppo di dieci persone e riducendo a 100 dollari l’intera ricchezza mondiale, un solo individuo finirebbe per disporre di 99 dollari, mentre i restanti nove possiederebbero l’ultimo dollaro. Se Stati Uniti, Giappone ed Europa hanno infatti in mano l’84% di una ricchezza mondiale (gli USA il 34% della ricchezza, diviso per il suo 6% della popolazione mondiale), l'America Latina il 4%, la ricca Cina il 3% come l'Asia; fanalini di coda l'Africa con l' 1% e...sorpresa: l'altrettanto ricca India, con il suo 1%. In definitiva il 2% delle persone possiede più della metà di tutta la ricchezza e il 10% l’85% della ricchezza totale.
Il dato innovativo è che il parametro di valutazione non sono i redditi nazionali e individuali, le proprietà fisiche e finanziarie, cui vengono sottratti i debiti personali, che si può togliere con il credito: proprio la mancanza di un sistema assicurativo nei paesi in via di sviluppo, fatta eccezione per il microcredito, è una delle cause dell'impoverimento: secondo Sherman Katz, esperto di sviluppo economico, in un intervista per La Stampa, “l’incremento della ricchezza nell’era della globalizzazione favorisce coloro che già possiedono importanti capitali”. Questo spiega i dati ottimistici della Banca Mondiale, basati su paesi, come India e Cina, in cui i progressi sopracitati sono dovuti, come afferma De Belder di Oxfam, ai loro immensi mercati interni, mentre “i più piccoli fra i paesi in via di sviluppo devono guardare a strategie diverse”. Caso emblematico è l'Africa, in quanto paese in cui corruzione istituzionale e personale non qualificato comportano che non solo non possa fruire dei vantaggi del mercato globale riservati a India e Cina, ma anche ha portato a un maggiore impoverimento (vedi post). Per De Belder “non puoi avere la deregulation economica e al tempo stesso chiedere più regole per risolvere i problemi ambientali e sociali. Gli imprenditori locali in Africa non sono pronti a sostenere la concorrenza globale. Finché persisteranno le disuguaglianze, non potrà esserci un libero scambio benefico tra partner uguali”.
Queste testimonianze legano il problema dei progressi economici al tema dei diritti sociali e civili: una reale prospettiva di sviluppo non può che generarsi, al di là delle ricette economiche, siano esse liberiste o meno, senza una situazione di diritti e uguaglianza. In una parola, di pace.
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