martedì 22 gennaio 2008

CHI SI BEVE LA PUBBLICITA'? Osservazioni sulla campagna contro la pubblicità dell'acqua in bottiglia

La quinta edizione del Buy Nothing Day Contest premia quest'anno la miglior anti-pubblicità dell’acqua minerale in bottiglia e la miglior etichetta per imbottigliare l’acqua del rubinetto, nell'ambito di “Fa’ la cosa giusta!” (http://www.falacosagiusta.org/ ), fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili. I sostenitori dell'iniziativa hanno avviato una petizione finalizzata a "mettere fuori legge" la pubblicità dell'acqua in bottiglia, con le seguenti motivazioni:

  1. Una prima ambientale: l'Italia è la nazione con il maggior consumo di acqua in bottiglia, con conseguente inquinamento dato dallo spostamento dei mezzi di trasporto e dalla quantità di plastica prodotta, quando l'acqua sarebbe disponibile in ogni casa dal rubinetto;
  2. Una seconda motivazione afferma che le aziende venditrici di acqua in bottiglia spendono, secondo i dati forniti dai sostenitori dell'iniziativa, 360 milioni di euro in pubblicità, senza, come affermano i sostenitori dell'iniziativa, "pagare alcun canone per la quantità di acqua effettivamente prelevata e imbottigliata, ma solo un “canone di coltivazione”, in pratica l’affitto del terreno all’interno del quale si estrae l’acqua, quindi facendo "affari d’oro sulla dabbenaggine dei nostri consumi"

In merito alle posizioni che hanno portato all'iniziativa, facciamo qualche osservazione.

  1. Appare discutibile che la pubblicità, per quanto persuasiva e martellante, possa apparire come "costrizione", nè come l'unica causa del consumo massiccio di acqua in bottiglia, come affermato: "oggi, subiamo un bombardamento da 380 milioni di euro all'anno per essere costretti a bere acqua in bottiglia. Altrimenti nessuno la berrebbe. In assenza di condizionamento quale persona di buon senso opterebbe per una scelta tanto insicura, dispendiosa e inquinante?" Acquistare acqua in bottiglia, in un società fondata sul libero mercato, è una scelta, pur condizionata, ma lo è come bere acqua di rubinetto o solo birra. Ma è una scelta più dispensiosa in termini ambientali, sostiene l'iniziativa;
  2. Il consumo ambientale implicato dalla commercializzazione di un bene come l'acqua, potenzialmente disponibile in tutte le case, è più vasto, e va affrontato alla radice, sul dispendio logistico e sull'inefficenza delle infrastrutture italiane; inoltre, riguarda non la pubblicità (che è riduttivo pensare come unica causa del problema) ma tutto il commercio su terra di prodotti anche non pubblicizzati;
  3. La tassa che le aziende dovrebbero pagare oltre il canone di coltivazione, che appare fondata sull'idea per cui l'acqua è un bene "comune", insieme all'eventuale successo legale dell'iniziativa, porterebbe le aziende produttrici a dover tornare con i conti persi dalla pubblicità in altro modo, magari con tagli al personale del marketing o di chi non può più contare, per il proprio stipendio, sulla vendita del prodotto;
  4. Non appare poi fondata l'abolizione della pubblicità sulla base della proibizione citata di promuovere latte in polvere per la prima infanzia "perché fa concorrenza all’allattamento al seno, che è riconosciuto come un bene primario", perchè anche qui sta nel diritto di scelta della persona preferire un prodotto o un altro, e nel diritto di promozione di un azienda pubblicizzare, certo nei limiti della legalità e non cadendo nell'inganno, il proprio prodotto;
  5. La petizione rischia di diventare una petitio principii, inducendo, con metodi di persuasione pubblicitari come gli slogan, al consumo di acqua di rubinetto, certo senza scopo di lucro e con conseguente riduzione dell'impatto ambientale;
  6. In fondo, non si comprende perchè, invece che proporre una campagna sulle virtù benefiche del consumo di acqua di rubinetto, si voglia passare dalla critica al libero diritto di reclame; e qui emerge, nelle pieghe dell'iniziativa, una visione ideologica di fondo che mina le buone intenzioni ambientali: "In un mondo serio, la pubblicità non dovrebbe esistere, perché i consumi non vanno spinti, ma frenati in nome della sostenibilità e dell'equità. La gente non ha bisogno di messaggi ingannevoli, ma di informazioni serie sulla qualità dei prodotti, la sicurezza, la storia ambientale e sociale. Dunque: non spot privati al servizio delle imprese, ma un servizio pubblico di informazione sui prodotti al servizio della gente. (...) Questo mondo è asservito alle imprese che per il profitto della giornata distruggono il mondo, la gente, la pace." Innanzitutto, non è dimostrato come i consumi vadano contro "sostenibilità ed equità", anche in merito al tema dell'acqua: sembra vero il contrario. Poi, che tutta la pubblicità sia composta da messaggi ingannevoli indurrebbe a pensare lo sia anche quella a favore dell'acqua di rubinetto, a meno che non si intenda ingannevole solo la propaganda profit, delle imprese che per il profitto "distruggono il mondo, la gente, la pace", tralasciando il fatto che da esse, e dai consumi dei loro prodotti, dipenda la crescita economica e quindi la possibilità di lavoro e di equità di più persone possibili;

In conclusione, pur condividendo gli spunti critici che spingono l'iniziativa (il consumo ambientale e la riduzione dei costi), era forse più apprezzabile un opera di sensibilizzazione costruttiva sulle virtù dell'acqua di rubinetto, il cui uso, ricordiamo, è regolato e pur sempre pagato a un'azienda pubblica: lo stato.

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